Calo nascite: al Sud -40% negli ultimi venti anni

Nel 2020 in Italia il tasso di natalità è crollato del 28% rispetto all’inizio del millennio.  A confermare il tracollo – per chi avesse ancora dubbi – sono le statistiche Istat degli ultimi vent’anni e le elaborazioni su base provinciale effettuate dal Sole 24 Ore sull’anno post pandemia appena concluso. Parliamo di circa 125.550 culle in meno negli ospedali dell’intero Paese che, se sommate alle 10.500 in meno del 2021, raggiungono un totale di circa 136mila. 

Gli effetti che il Covid-19 ha avuto sul calo delle nascite sono ancora più evidenti se guardiamo ai dati: nel solo mese di gennaio 2021 sono nati 5000 bambini in meno rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. 

Ma al di là degli effetti della pandemia, quale data segna l’inizio del calo delle nascite nel Bel Paese? Più che una data, un evento: la grande depressione del 2008 scoppiata per la crisi dei subprime negli Stati Uniti. Sì perché in realtà in Italia le nascite hanno continuato a salire fino al 2008, per poi subire una drastica virata verso il basso: l’impatto della grande recessione ha messo in luce lo stretto legame tra economia, welfare e demografia. 

La denatalità è un fenomeno generalizzato, ce lo confermano i dati territoriali e il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo, che ha dichiarato al Sole 24 Ore: «La variazione negativa è ovunque a due cifre e anche nelle realtà che risultano meno colpite il fenomeno ha una dimensione di assoluto rilievo»

Osservando la mappa provinciale del calo demografico, saltano agli occhi due velocità. Dal 2002 al 2008 il calo ha riguardato esclusivamente il Sud e le Isole, al contrario del Centro dove le nascite risultavano in crescita del 10%. Mentre dal 2008 ad oggi il calo è generalizzato in tutto il Paese, ma con una differenza: ad inizio secolo la flessione negativa è iniziata prima nel Mezzogiorno, dove il trend risulta più marcato. 

La provincia Barletta Andria Trani registra il tasso più preoccupante in assoluto. Nella provincia pugliese ad oggi i nuovi nati iscritti all’anagrafe ogni mille abitanti sono il 40% in meno rispetto a vent’anni fa. Seguono le province sarde di Sassari, Oristano e Cagliari dove a pesare è lo spopolamento. A nulla sono serviti gli sforzi del sindaco di Oristano, dove nel 2020 si è registrato il tasso di natalità più basso su scala nazionale. Per contrastare la denatalità, infatti, questi territori investono sui servizi per l’infanzia più di altri e, non a caso, registrano livelli più alti di qualità della vita dei bambini. Scendendo nella classifica, al sesto posto incontriamo la cittadina di Enna con -35,4% di nascite. 

La situazione migliora guardando alla Calabria: rispetto al 2002, nel 2020 le nascite a Reggio Calabria sono calate “solo” del 17,9%. Mentre Cosenza registra un -19,3% e Vibo sale in graduatoria con il -20%.

Anche le grandi città perdono culle. Roma è tra le province che ha perso più culle da quando è iniziata la virata in negativo di tutto il Paese: nel 2021 si stimano 15 mila nascite in meno rispetto al picco del 2008. Neanche Napoli se la cava bene, qui il tasso di natalità (pari a 8 nuovi nati ogni mille residenti) resta superiore alla media nazionale, che nel 2021 si stima possa scendere a 6,7.

A resistere alla trappola demografica sono Parma, Trieste e Bolzano dove la flessione rispetto a inizio secolo non supera il 13% e la provincia altoatesina, in particolare, risulta quella dove dopo il 2008 il calo è stato più contenuto, mantenendo il tasso di natalità più alto del Paese (9,7 nati ogni mille).

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