I dazi annunciati il 2 aprile dal Presidente Trump rischiano di colpire in pieno l’economia italiana, fortemente basata sulle esportazioni, con gli USA come terzo partner commerciale. La pausa di 90 giorni decisa dalla Casa Bianca apre uno spiraglio per cercare un compromesso tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti
Il commercio bilaterale tra Italia e USA vale 92 miliardi di euro, con il nostro Paese che si piazza al secondo posto tra gli esportatori europei oltreoceano, subito dopo la Germania. Tuttavia, con il nuovo corso inaugurato a Washington da Donald Trump, le relazioni commerciali tra Europa e Stati Uniti potrebbero venire compromesse, eventualità che difficilmente risparmierebbe l’Italia.
A differenza del primo mandato di Trump, i dazi del 20% verrebbero imposti su ogni merce proveniente dall’estero, e non su settori specifici. Di conseguenza, l’intero export italiano, dai macchinari industriali all’agroalimentare, sarebbe soggetto a pesanti tariffe.
Cosa esportiamo negli Stati Uniti e l’effetto dazi
Nel 2024 l’Italia ha esportato beni negli Stati Uniti per un valore di 64,8 miliardi di euro, cifra in crescita costante dal 2013. Rispetto al 2023 l’export ha subito una leggera flessione del 3,6%. Gli USA sono il terzo partner commerciale dello stivale, rappresentando il 9% del totale dell’export, subito dopo Francia (10%) e Germania (12%).
L’Italia è al tempo stesso uno dei Paesi europei con il maggior surplus commerciale nei confronti di Washington, pari a circa 43 miliardi di euro. L’export italiano è composto principalmente da macchinari (38%), prodotti chimici e derivati (20%), manufatti finiti (19%) e semilavorati (9%). Una grossa parte è rappresentata quindi da prodotti ad alto valore aggiunto, come macchinari industriali (11 miliardi di euro) e veicoli (7 miliardi di euro). Moda e abbigliamento vengono esportati per 5 miliardi di euro.
L’agroalimentare costituisce invece l’11% delle esportazioni per un valore di 7,2 miliardi di euro, principalmente bevande, prodotti caseari e prodotti alimentari vari. Esempi da menzionare sono sicuramente vini, formaggi e prodotti con contrassegnati dalle sigle DOP, IGP, STG. Nel caso delle bevande alcoliche, gli USA rappresentano un importante mercato di sbocco, assorbendo una quota del 25% dell’export.
Dazi, l’export italiano alla prova di Trump
Data l’importanza degli Stati Uniti come partner commerciale per l’Italia, le politiche protezionistiche di Trump avranno effetti importanti per l’economia.
Dopo l’annuncio dei dazi il 2 aprile, la Banca d’Italia ha dovuto rivedere al ribasso le prospettive di crescita dell’economia italiana, la quale si attesterebbe allo 0,6%. Una stima decisamente cauta, precedente alla pausa decisa da Trump il 9 aprile e che tiene conto dello scenario peggiore, quello in cui gli USA impongono dazi del 20%.
Le esportazioni italiane subirebbero una stagnazione, ma nel breve-medio termine l’Italia potrebbe compensare la perdita di quote del mercato statunitense con la ricerca di sbocchi verso nuovi mercati. Gli effetti dei dazi sull’export italiano dipendono da più variabili: in primis l’elasticità della domanda da parte degli importatori e dei consumatori americani.
Dazi, effetti a breve e lungo periodo
Inoltre, è fondamentale distinguere tra gli effetti di breve periodo e gli effetti di lungo periodo. Infatti, se nel breve periodo la difficoltà nel rimpiazzare subito i prodotti italiani potrebbe limitare la contrazione degli scambi a 6 miliardi di euro nell’arco di un anno, nel lungo periodo i dazi potrebbero arrecare danni considerevoli ai produttori italiani, specie nei settori a più alto valore aggiunto come la meccanica.
La domanda resterebbe quindi pressoché inelastica nel breve periodo, mentre nel lungo periodo questa diventerebbe più elastica. Un discorso a parte potrebbe essere fatto per l’export agroalimentare: solitamente la fascia di consumatori ai quali si rivolge è quella medio-alta, la quale potrebbe ritenere trascurabili eventuali aumenti di prezzo dei prodotti italiani.
Infine, gli effetti dei dazi non colpiranno la penisola in modo uniforme: le regioni più esposte sono infatti Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, le quali rappresentano metà delle esportazioni italiane negli USA.
Dazi, Roma e Bruxelles alla ricerca di un compromesso con Washington
Il destino dei rapporti commerciali tra Italia e USA è strettamente interconnesso con i rapporti tra questi ultimi e Bruxelles. In base ai trattati, l’Unione Europea ha competenza esclusiva in materia doganale (art. 3 TFUE). Le decisioni di politica commerciale devono essere prese a livello comunitario, solamente l’Unione può imporre o eliminare dazi su merci extracomunitarie. Di conseguenza, Italia e Stati Uniti non potrebbero firmare accordi separati.
Il 2 aprile, durante il famigerato Liberation day, il Presidente Trump ha riservato all’Unione Europea (di conseguenza anche all’Italia) dazi del 20% validi per tutte le merci provenienti dal continente. La cifra si basa sui presunti dazi del 39% che l’UE impone ai beni importati dagli USA.
Tuttavia, è stato più volte appurato che il metodo di calcolo si basa non sui dazi effettivi, ma sulla bilancia dei pagamenti tra Washington e la controparte. L’entità reale dei dazi imposti da Bruxelles alle merci statunitensi ammonterebbe, secondo il WTO, ad una media del 4,8%, cifra notevolmente inferiore a quella dichiarata da Trump.
Senza un accordo, il dazio medio tra Europa e Stati Uniti raggiungerebbe il 13%, quasi dieci volte superiore alle tariffe medie registrate tra il 2000 e il 2018. La pausa di 90 giorni annunciata successivamente da Trump ha aperto alla possibilità di trattative.
Dazi, come scongiurare una guerra commerciale
Per scongiurare una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico è essenziale coordinare gli sforzi tra Bruxelles e le capitali europee.
Un primo banco di prova è stato sicuramente la visita di Giorgia Meloni a Washington il 17 Aprile, occasione in cui la Presidente del Consiglio ha avuto modo di parlare anche della questione dazi. Nonostante Trump abbia assicurato un futuro accordo commerciale con l’UE, la questione rimane ancora sostanzialmente aperta.
Il ruolo dell’Italia
L’Italia potrebbe giocare un ruolo fondamentale nei negoziati tra Bruxelles e Washington, forte del legame speciale con gli USA, della stabilità dell’esecutivo e del sostegno già offerto dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Del resto uno degli obiettivi principali della politica estera di Meloni è quello di fare da ponte tra Stati Uniti e Unione Europea. Da qui la necessità per l’esecutivo di mantenere toni moderati nei confronti di Washington e il costante richiamo all’unità occidentale per evitare rotture definitive del legame transatlantico.
Inoltre, le affinità politiche e l’ottimo rapporto personale tra Meloni e Trump possono sicuramente giocare a favore dell’Italia.
Dazi, i compromessi possibili
Il processo negoziale richiederà sicuramente dei compromessi da parte italiana ed europea: in primis un maggiore impegno sul fronte delle spese per la difesa, vale a dire il definitivo raggiungimento del 2% del PIL di spese militari.
Infine, se il governo Meloni riuscisse a porsi da mediatore tra le due sponde dell’Atlantico, l’Italia acquisirebbe senza dubbio prestigio a livello europeo e internazionale. La volontà di ricercare un compromesso riflette una lunga tradizione diplomatica dell’Italia repubblicana.
In questo momento, il raggiungimento di un accordo è essenziale, sia per l’Italia che per l’Europa, alle prese con i postumi della crisi energetica e in piena crisi industriale. Una frattura economica e politica tra Europa e Stati Uniti potrebbe essere esiziale per entrambe le economie.
Fonte Geopolitica