Dopo la contrazione registrata nel primo trimestre del 2025 causata principalmente dallo shock tariffario, il PIL americano è salito del 3,3% nel secondo periodo. Questo balzo, oltre ad essere imputabile al forte calo delle importazioni e dal leggero aumento dei consumi, si deve agli ingenti investimenti nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale
Negli ultimi cinque anni, l’intelligenza artificiale ha trasformato radicalmente il settore tecnologico, evolvendosi da semplici strumenti di automazione a sofisticati modelli di machine learning e deep learning, in grado di ottimizzare processi ed offrire soluzioni organizzative aziendali più efficienti. Grazie a tali caratteristiche e all’elevata integrabilità, i sistemi di intelligenza artificiale (AI) sono diventati una componente strategica ed imprescindibile per i colossi dell’economia americana e mondiale. Inoltre, l’ampia diffusione dei modelli generativi, tra cui il noto Chat GPT, ha ulteriormente alimentato l’interesse mediatico e attratto ingenti investimenti privati, contribuendo in modo determinante alla crescita esponenziale del settore.
I dati parlano chiaro: gli Stati Uniti ospitano il maggior numero (12.418) di startup attive nello sviluppo dell’AI e, nell’ultimo decennio, hanno raccolto investimenti per un totale di 240 miliardi di dollari. Non a caso i leader di questo settore, come Open AI ed Anthropic, sono aziende americane con sede nel cuore dell’innovazione tecnologica mondiale: la Silicon Valley, in California; ambiente unico, in cui le nuove startup hanno potuto collaborare sinergicamente con le Big Tech tradizionali accelerando così l’adozione su larga scala dell’intelligenza artificiale.
Intelligenza artificiale, l’impatto sul PIL nonostante i dazi
I frutti di questo trend sono oggi ben evidenti: nel 2025 il settore AI, secondo le stime di J.P. Morgan, ha contribuito per l’1,1% alla crescita economica americana. Inoltre, senza il massiccio sostegno finanziario da parte delle Big Tech, il PIL sarebbe incrementato di meno dell’1%. Solo Amazon e Google hanno investito oltre 50 miliardi di dollari in startup AI, una cifra che, sommata ai fondi pubblici stanziati dall’Amministrazione Biden, ha consentito al comparto di reagire rapidamente agli shock provocati dalla politica doganale di Trump.
Va tuttavia sottolineato un elemento cruciale. Semiconduttori e componenti hardware non sono mai stati oggetto di dazi generalizzati, nonostante il Tycoon abbia più volte minacciato di introdurli. Questo dettaglio non è affatto marginale in considerazione del fatto che la domanda di componentistica non riesce ad essere soddisfatta dalla sola produzione interna. Le imprese tecnologiche emergenti statunitensi, infatti, dipendono in larga misura dalle importazioni di questi input, provenienti soprattutto da Messico e Taiwan.
Secondo il think tank ITIF, considerato il principale punto di riferimento a livello globale nell’ambito della scienza e della tecnologia, l’imposizione effettiva di dazi avrebbe rallentato lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, a causa dell’aumento dei costi di approvvigionamento e dei prezzi dei software destinati ai consumatori finali. Le aziende, in tal caso, avrebbero avuto un forte incentivo a delocalizzare, piuttosto che investire nel mercato interno. Questo perché le materie prime alla base della catena di fornitura, come le terre rare, sono presenti in quantità limitata negli Stati Uniti, rendendo il sistema produttivo nazionale inevitabilmente dipendente dall’estero.
Intelligenza artificiale, il ruolo degli investimenti
Come anticipato, tuttavia, questo scenario non si è concretizzato. Al contrario, per il 2025 si stima che le Big Four del tech (Meta, Alphabet, Amazon e Microsoft) sosterranno spese in conto capitale prossime ai 400 miliardi di dollari. Gran parte di questi investimenti è destinata allo sviluppo delle cosiddette “infrastrutture AI”: risorse fisiche fondamentali per progettare e adottare su larga scala i modelli di intelligenza artificiale.
Tra queste infrastrutture figurano i data center, cioè edifici che ospitano server ad alte prestazioni, impianti energetici ad alta efficienza per alimentarli, e i già citati chip avanzati. I primi due rappresentano immobilizzazioni materiali di grande valore, potenzialmente riconvertibili ad altri usi in futuro, e quindi in grado di mantenere un valore reale anche qualora l’AI non producesse i ritorni attesi. Anche per questo motivo, i colossi tecnologici hanno un incentivo ulteriore a guidare questa trasformazione: basti pensare che, rispetto a un anno fa, Microsoft e Nvidia hanno incrementato il proprio valore di mercato complessivo di circa 2.500 miliardi di dollari.
Intelligenza artificiale, l’impatto sugli altri settori
È evidente, quindi, che l’impatto di questi investimenti non si limiti al settore tecnologico in senso stretto, ma si estenda anche ad altri settori dell’economia americana. Uno tra i più coinvolti è quello edilizio, il quale ha registrato una crescita dell’1,2% nel 2025, trainata in parte dal boom nella costruzione di data center. Tra i progetti più significativi spicca il progetto Stargate, dal valore stimato di oltre 500 miliardi di dollari. Da notare, poi, che secondo le valutazioni di J.P. Morgan, la spesa per infrastrutture AI potrebbe contribuire all’aumento del PIL USA di circa 20 punti base nel 2025, con prospettive di ulteriore crescita nei prossimi anni. Tuttavia, il principale motore della recente ripresa economica americana resta l’investimento in software e apparecchiature informatiche, cresciuto del 25% rispetto all’anno precedente, e ancora oggi l’elemento chiave della trasformazione digitale in corso.
Intelligenza artificiale, gli effetti sul mercato del lavoro
Senza dubbio, la frenetica “corsa all’AI” intrapresa da startup e Big Tech sta stimolando l’economia americana e contribuendo a rendere il sistema produttivo più innovativo e competitivo in vista delle sfide future, con effetti rilevanti sulla crescita del PIL potenziale. Tuttavia, un sovrasviluppo repentino di questo comparto, tale da sovrastare quelli tradizionali, rischia di porre nuove sfide al mercato del lavoro.
Ad esempio, la creazione di nuovi posti di lavoro ha subito un brusco rallentamento, in quanto l’AI e le infrastrutture che la supportano, seppur stiano alimentando l’economia e facendo salire la borsa, non generano molta domanda di lavoro umano, creando, così, un divario tra crescita economica e occupazione. Secondo alcuni analisti di Axios, l’aumento del tasso di disoccupazione sarebbe in parte riconducibile alla tendenza delle imprese a ridurre la forza lavoro, optando, evidentemente, per una maggiore automatizzazione dei processi.
Intelligenza artificiale, un quadro con varie sfumature
Il quadro, tuttavia, è tutt’altro che omogeneo. Secondo uno studio del Congressional Budget Office, agenzia non-partisan istituita per fornire analisi economiche oggettive al Congresso, se da un lato l’intelligenza artificiale sta contribuendo a rallentare la creazione di nuovi posti di lavoro, dall’altro la maggior parte delle aziende che già la impiegano non ha ridotto il personale, né intende farlo.
L’analisi evidenzia che l’impatto più significativo non riguarda tanto l’occupazione in sé, quanto le mansioni svolte: si stima che circa l’80% della forza lavoro statunitense vedrà modificato almeno il 10% delle proprie attività. Gli effetti, inoltre, sono eterogenei: in molti casi l’AI tende a sostituire il lavoro umano attraverso processi automatizzati, ma in altri risulta essere complementare. Sempre lo studio, infatti, riporta la fattispecie dell’AI generativa, la quale sembra potenziare le prestazioni dei lavoratori meno qualificati, migliorandone l’efficienza e contribuendo a ridurre il divario salariale.
Intelligenza artificiale, una crescita poco omogenea
Vista l’importanza strategica assunta dall’intelligenza artificiale, in settori chiave come quello della difesa, le recenti Amministrazioni hanno voluto favorirne lo sviluppo interno, sfruttando il know how e il capitale tecnologico-finanziario presente nella già citata Silicon Valley. Per citare qualche esempio: Il “Chip and Science Act” di Biden ha stanziato oltre 280 miliardi per la ricerca in nuove tecnologie e per la produzione di semiconduttori, mentre il più recente “America’s AI Action Plan” di Trump descrive le modalità più operative con il quale il Governo vuole affrontare questa nuova transizione digitale, puntando su deregolamentazione, infrastrutture e formazione in ambito lavorativo e scolastico.
Un approccio di questo tipo, per quanto ambizioso, nasconde diverse criticità a livello economico: come riportato da Davide Bruseghin di Geopolitica.info, “vi è il rischio che i benefici potrebbero distribuirsi in modo diseguale, con grandi aziende che catturano la maggior parte dei contratti governativi mentre realtà più piccole faticano a competere in un mercato aperto ma supportato in modo non uniforme”. Inoltre, l’assenza di un piano formativo chiaro, strutturato e adeguatamente finanziato dal Governo rischia di amplificare le disuguaglianze territoriali di tipo economico e sociale.
Così facendo, paradossalmente, proprio quelle realtà che trarrebbero i maggiori benefici dall’adozione di queste tecnologie, e che il Tycoon vuole revitalizzare in particolare nel settore manifatturiero, rischiano di restare esclusi dal processo di innovazione. Pertanto, affinché i benefici si distribuiscano in modo più omogeneo, sarà cruciale affiancare agli investimenti infrastrutturali privati una strategia pubblica (al momento inesistente) mirata alla formazione, al supporto delle medie imprese. Solo così l’AI potrà diventare non solo un’opportunità economica, in senso utilitaristico, ma anche uno strumento a vantaggio del benessere sociale.
Fonte GeoPolitica

