Contro lo spopolamento dei Borghi del Sud l’arma del marketing territoriale

Paesi “in vendita”. Case ad 1 euro. Contributi per nuovi residenti. Contro lo spopolamento dei paesi dell’entroterra il marketing territoriale le sta provando tutte. Ma siamo sicuri che offrire un tetto sotto cui vivere, spesso svendendo storia e memoria, sia la soluzione? Partiamo dalle certezze. Svimez, Istat, Inps, Anci suonano all’unisono, da anni, le stesse sirene d’allarme: il Sud si spopola. Siamo sempre di meno e sempre più vecchi. Niente di nuovo, a seguire la curva demografica dell’ultimo secolo. Unica variante: ai manovali e contadini, disoccupati, delle emigrazioni storiche, si sono sostituiti i laureati e specializzati, disoccupati, delle odierne emigrazioni.  Invariata la logica della scelta: si va verso le possibilità, quando la certezza è la fame o la mancata realizzazione personale. Un fenomeno che risponde a complesse logiche socio-economiche, quindi, e che produce, tra gli altri frutti evidenti, il dissanguamento dei nostri comuni dell’entroterra dove – come in molte aree interne del resto d’Europa (Spagna, in primis) –  i portoni delle case si chiudono per non riaprirsi più.

“U paisi” vestito da borgo

Per frenare la tendenza c’è chi ha imboccato, legittimamente, la via del turismo, provando a intercettare un target di viaggiatori dal gusto estetizzante e neo romantico: i paesi meridionali, complici, spesso, investimenti stranieri, si sono vestiti da “borghi” eleganti,  alberghi diffusi pronti ad offrire un’immersione mordi e fuggi nella ruralità addomesticata da resort e piscine. Ma i portoni delle case ristrutturate per i turisti si riaprono solo a giugno per chiudersi a settembre, quando il borgo ritorna “u paisi” e il paese ritorna senza farmacia, scuola, bar e bancomat. C’è chi punta su festival e classifiche di bellezza (il borgo più bello) per puntellare l’orgoglio e mettere una targa accanto al nome del paese. E c’è chi si ostina, nostalgicamente, a decantare il buon tempo antico, chiudendosi di fronte alla realtà.

Questa e le immagini sottostanti sono tratte dell’attività del gruppo “la rivoluzione delle seppie” su Facebook.

Partire da una nuova comunità

Riabitare significa ricostruire comunità, creare le condizioni essenziali per consentire di rimanere a  chi vuole restare e di ritornare a chi è partito”,  mette in guardia da tempo l’antropologo Vito Teti che nel 2018 ha firmato “Riabitare i paesi. Un “manifesto” per i borghi in abbandono e in via di spopolamento”. Un tetto sulla testa, insomma, è solo il primo tassello, ma senza servizi di cittadinanza essenziale, la casa, non importa quanto ben ristrutturata, è destinata ad essere abbandonata di nuovo. “Non può esistere un paese, anche il più piccolo, senza centri culturali, luoghi di socialità, e, soprattutto, senza scuole” perché, aggiunge Teti nel documento, “i paesi non hanno bisogno di chiusure, di localismi, di retoriche, ma di aprirsi al mondo, rinnovare la pratica dell’accoglienza, inventare nuove forme di economia, socialità, convivialità. Di intraprendere la strada per creare nuove “comunità”.

A Belmonte calabro paesani e seppie

Sono prove di una nuova comunità quelle in atto, per esempio, a Belmonte calabro, paese del basso tirreno cosentino, con un centro storico che conta sulla carta poco più di 400 residenti. La sera dell’11 luglio, per esempio, a guardare la finale tra Italia – Inghilterra davanti al maxischermo del bar in piazza, c’erano una cinquantina di persone: gente del posto, giovani “forestieri” e un ragazzo inglese con tanto di bandiera, consolato con assaggi di soppressata. A rivoluzionare, qualche anno fa, la calma rassegnata del paese affacciato sul mare fu l’arrivo di alcuni studenti della London Metropolitan University, ospitati  presso l’ex Convento di Belmonte ed impegnati in attività di laboratorio. A fare da tramite, la cosentina Rita Elvira Adamo, allora studentessa di architettura presso l’ateneo inglese. “Ero l’unica calabrese del gruppo e avevo trascorso a Belmonte tutte le mie vacanze da bambina. Da qui la mia proposta. Nelle nostre prospettive non c’era, certo, quella di occuparsi dello spopolamento del paese.  Volevamo solo mettere in pratica ciò che studiavamo all’Università”. Ma, una volta sul posto, le cose cambiano. “Ci siamo resi conto della crisi migratoria quando abbiamo cominciato a cercare giovani tra i 18 e i 30 anni da coinvolgere nei laboratori di design e architettura. In paese non c’era nessuno.  Gli unici ragazzi sul territorio erano quelli del centro migranti di Amantea, e li abbiamo coinvolti”. A quella prima estate ne sono seguite altre. L’Università londinese ha creato una vera e propria classe di ricerca su Belmonte e nel 2017 è nata l’associazione “Le seppie”, formata da un gruppo di professionisti internazionali. “Abbiamo provato a dare continuità alla nostra presenza su Belmonte, attraverso la nascita del progetto Crossing, una serie di workshop per realizzare architettura partecipata sul territorio”. Si è aggiunta, poi, la gestione di un locale affidato dal Comune e l’idea di uno spazio di coworking che, complice la presenza del wifi, ha offerto ad alcuni studenti inglesi la possibilità di trascorrere il lockdown seguendo le lezioni universitarie dalla Calabria. “Il paese è diventato una casa estesa dove vivere e lavorare con una qualità della vita diversa”. E gli abitanti del posto? “All’inizio c’è stata un po’ di diffidenza ma ora c’è apertura, non solo perché l’iniziativa sta facendo girare economia: penso agli affitti delle case, al bar che si è dotato di pos, all’apertura di un lido. E’ significativo che in paese, dopo anni, è stato installato anche un banco-posta”. Ma la via del dialogo è lunga. “Ce lo chiediamo costantemente come creare un ponte con i “paesani”, ed è chiaro che toccherebbe coinvolgere sociologi ed antropologi ma gli scambi, anche se lenti, ci fanno sentire sulla giusta strada”. 

Smart working in Sicilia

E nuove comunità potrebbero presto crearsi anche nei comuni siciliani di Petralia sottana, Sambuca, Gangi, selezionati dalla startup pisana HQvillage come luoghi ideali in cui fare smartworking. L’idea è semplice: “Vogliamo dare una nuova possibilità al tessuto italiano di piccoli Borghi e comuni che oggi più che mai stanno vivendo una situazione drammatica, mettendoli nelle condizioni di attrarre dipendenti SmartWorker da tutto il mondo”, spiegano dall’HQvillage. Che la soluzione al problema dello spopolamento possa davvero arrivare da una linea wifi?

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