Lu sule, lu mare e lo ientu: non solo in Salento e nell’intera Puglia, ma in tutto il Sud, la riserva principale di energia pulite del nostro paese. Nel Meridione si concentra il 40,2% delle fonti green e il Sud vale il 96,5% della potenza eolica, il 37,4% di quella fotovoltaica e il 27,2% della potenza degli impianti a bionergie, sulla base del rapporto del Centro Studi Srm del Gruppo Intesa Sanpaolo. L’Italia, con i 5,9 miliardi del Pnrr per le fonti rinnovabili, è protagonista della transizione ecologica soprattutto grazie alla parte bassa dello stivale. Per rispettare gli obiettivi Ue del Green Deal (-55% delle emissioni rispetto al 1990 e copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica), entro il 2030 il nostro paese dovrà installare impianti per la produzione di energia rinnovabile da almeno 70 Gigawatt. A parole le energie rinnovabili le vogliamo tutti. Peccato che dobbiamo fare i conti con lungaggini burocratiche, e non solo.
Ministero dell’ambiente, Regione, Conferenza di servizi, autorizzazione per l’impianto specifica e licenza di officina elettrica: ecco il lungo iter per approvare un parco eolico e fotovoltaico. Cinque passaggi autorizzativi, più altri sei per connetterlo alla rete di Terna. Il tutto richiede sei o sette anni, sempre che dopo non arrivi lo stop dagli Enti Locali. Lungaggini e ostacoli amministrativi che rendono difficile la vita delle rinnovabili, come denunciato dal rapporto Legambiente “Scacco matto alle fonti rinnovabili“. Il dossier racconta 20 storie esemplari di blocchi alle fonti pulite che riguardano tutta la penisola. Il problema alla base? Manca un quadro normativo unico in grado di dare coerenza e ispirare le decisioni di tutti gli attori coinvolti. A ciò si aggiungono i fenomeni di contrasto da parte del territorio: si tratta dei fenomeni NIMBY (Not in My Back Yard, cioè “non nel mio giardino”) e NIMTO (Not in My Terms of Office, cioè “non durante il mio mandato”) che hanno ostacolato la costruzione di numerosi progetti green. Bastano i dati Terna – l’operatore per la trasmissione di energia elettrica: sono tantissime le richieste di connessioni in attesa di risposta, per lo più dal Centro-Sud e della Sicilia, aree da cui provengono richieste per un totale di 6GW.
In Puglia 396 i progetti green fermi, in Sicilia sono in standby 23mila opere
Nel portale sulle energie rinnovabili, è riportato che Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia sono le prime regioni a sostenere, con provvedimenti normativi ad hoc, produzione e consumo collettivo di fonti green. C’è un Sud che vuole togliersi la nomea di zavorra del paese, ma che, in molti casi, se l’è dovuta vedere con stop, dall’alto e dal basso. In Puglia è il solare fotovoltaico la tecnologia più diffusa, con il 97,9% degli impianti, seguiti dall’eolico con l’1,9% e da impianti idroelettrici e alimentati da biomasse. Caso eclatante quello dell’impianto eolico offshore di Taranto, che vedrà finalmente la luce dopo anni di opposizione della Regione e della sovraintendenza e dell’Amministrazione di Taranto (nel 2008 la prima proposta). Nella terra dei trulli sono fermi 396 progetti di impianti i progetti di impianti da fonti rinnovabili.
In Sicilia negli ultimi anni è stata corsa alle rinnovabili. Sono state migliaia le proposte nel settore, con un mega potenziale secondo le stime di Svimez: 8,8 miliardi di investimenti e 19.325 posti di lavoro. Purtroppo, nell’isola ci sono quasi 1/4 del totale italiano delle richieste in attesa tra impianti fotovoltaici ed eolici: oltre 23mila le opere ferme per motivi burocratici e per il consistente fenomeno Nimby. In standby, ad esempio, l’Impianto Eolico galleggiante “Medwind Italia”: il progetto di parco eolico off-shore fluttante più grande d’Europa che creerebbe 700 nuovi stabili posti di lavoro e 40mila nell’indotto. Presentando il dossier Legambiente, Anita Astuto, responsabile Energia e clima di Legambiente Sicilia, ha denunciato: «Assistiamo basiti allo stop alle rinnovabili. Il nostro rapporto è una fotografia desolante di un Paese e di una Regione che non vuole vedere la soluzione ma crogiolarsi nei suoi problemi, facendo di fatto gli interessi delle lobby delle fossili, degli eterni signori delle discariche e degli inceneritori».
il caso della Calabria
Anche la Calabria è green, ma potrebbe fare di più. Il dossier Legambiente “Comunità rinnovabili” rileva 28mila impianti di fonti pulite sul territorio. Francesco Esposito, membro di Legambiente Campania tra i curatori del report,
«I numeri ci suggeriscono sicuramente un aumento del parco impiantistico nel territorio, con un +72% nel periodo 2010/2020, ma a ritmi decisamente troppo lenti, con annualità segnate anche da una crescita inferiore al 1%». Per Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria «È arrivato il momento che tutti gli attori istituzionali, le imprese e le comunità assumano impegni concreti per realizzare nuovi modelli energetici che rispondano alla sfida». Come riporta Legambiente, ancora meno senso ha la posizione assunta dalla Regione lo scorso febbraio, quando l’Assessore regionale all’ambiente ha disposto la sospensione di tutte le autorizzazioni per gli impianti eolici e gli elettrodotti, perché sarebbero “una violenza alla bellezza della Regione e allo sviluppo del turismo“. Motivazioni infondate e basate addirittura su opinioni personali del tutto discutibili, secondo il dossier.
La Basilicata da sola pesa per l’84% della produzione a terra di “Oil & Gas”. Meno green la Campania: “Assistiamo– come ha recentemente affermato Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania – ad una crescita troppo lenta della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, seppur in aumento rispetto al 2020, che vede la Campania ancora troppo legata alle fonti fossili e non rinnovabili per la propria produzione di energia elettrica, che sono responsabili, infatti, di oltre il 50% del totale prodotto“.
il Sostegni ter e la rivolta del mercato rinnovabile
A penalizzare il mercato delle rinnovabili, oltra ad atavici problemi legati a casi di buro-follia, anche il recentissimo decreto Sostegni ter, approvato nel bel mezzo delle elezioni del capo dello Stato. Secondo aziende e associazioni di categoria altererebbe le regole del mercato, senza risolvere il problema dei costi. Nato per attenuare il caro energia e i costi della bolletta, il decreto prevede un meccanismo per calcolare gli extra-profitti che saranno incassati nel 2022 dalle imprese rinnovabili (idro, eolico e solare) per chiederli indietro alle aziende produttrici. Per il Governo i motivi alla base della decisione sono gli extra margini dei produttori che godono di un incentivo fisso e i proventi della vendita dell”energia sulla base dell’andamento dei mercati a prezzi più elevati rispetto a quando è stato definito l’incentivo. Osteggiato da una lunga sfilza di associazioni di categoria e ambientaliste- da Confindustria, a Legambiente, da Greenpeace e Wwf a Codacons – il decreto penalizza di fatto il settore su cui si dovrebbe spingere di più. Desta perplessità anche il fatto che il calco degli extraprofitti interesserà anche gli impianti di fonti rinnovabili che non beneficiano degli incentivi, generando sfiducia negli investitori.
Non bastano effetto Greta e G20. Nel nostro paese manca una vera visione di ecologia politica. In una recente intervista, Angelo Bruscino, l’imprenditore e saggista esperto di ambiente e tecnologie ambientali denuncia «La nostra incapacità di superare vecchie polarizzazioni ecopolitiche. Non riusciamo a creare quel circuito virtuoso di investimenti, ammodernamenti, cambiamenti perché stretti tra le pieghe e le piaghe dei vecchi mali».