Ricerca, cinque atenei del Sud denunciano il bando Prin

Il bando del ministero dell’Università per i progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) viola la legge sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): non prevede lo stanziamento del 40% delle risorse disponibili a favore del Mezzogiorno.

In ballo ci sono 742 milioni di euro complessivi destinati ai progetti che, più di altri, impattano sullo sviluppo del territorio e sugli atenei stessi. Va da sè che la questione non poteva passare inosservata agli occhi della comunità accademica.

Al Sud destinato il 29% dei 742 milioni disponibili

Infatti, sono cinque gli atenei del Sud che hanno fatto ricorso al Tar del Lazio per il mancato rispetto della quota 40% dei fondi Pnrr. Al centro della contestazione dei numeri ben evidenti: al Sud sarebbe destinato solo il 29% dei fondi disponibili, per un totale di 218 milioni. La vicenda ha portato quindici docenti delle università di Bari, del Salento, di Napoli (la Federico II e la Vanvitelli) e de L’Aquila, ad impugnare il bando davanti al Tar Lazio, chiedendone prima la sospensione e poi l’annullamento.

Un errore di calcolo o una grave dimenticanza?

Il bando Prin: un percorso travagliato

Ma facciamo un passo indietro. Il bando Prin, pubblicato ad inizio di febbraio, ha avuto un percorso travagliato e a tratti rocambolesco. Nella prima versione del 25 gennaio, infatti, nel bando non compariva affatto la quota del 40% riservata al Mezzogiorno, nonostante fosse chiaramente spiegato che la rendicontazione delle spese va effettuata con una contabilità separata «ai fini della tracciabilità delle risorse del Pnrr». Piuttosto, veniva specificata una quota “giovani” del 30% riservata a progetti presentati da coordinatori scientifici con meno di 40 anni d’età (222,5 milioni su 741,8).

Ed ecco che il direttore generale della ricerca MUR, Vincenzo Di Felice, interviene sul bando. Questa volta prevedendo due linee di intervento ben separate: quella «Principale» e quella «Sud», che contempla l’assegnazione di 296,7 milioni, cioè il 40% previsto per legge a tutela del Mezzogiorno. Resta la quota giovani, suddivisa a sua volta in Principale (60%) e Sud (40%). Questa seconda versione viene pubblicata il 31 gennaio.

A seguito della pubblicazione, si manifesta immediatamente un problema: il meccanismo con doppia linea d’intervento non funziona. La complicazione risiede nella difficoltà di definire in quale graduatoria inserire i progetti presentati congiuntamente da atenei del Nord e del Sud. Per questo si ricorre ad un’ulteriore modifica che porta alla terza versione del bando in cui restano sia la quota giovani – pari al 30% (220 milioni) – che la quota Sud, pari al 40% e corrispondente a 218 milioni.

Non serve essere esperti contabili per accorgersi che i calcoli non tornano: la quota per il Mezzogiorno vale meno della quota giovani e al Sud viene destinato il 29,4% dell’importo.

Quando la matematica è un’opinione

Quindi, stando ai conti del MUR, la matematica sarebbe un’opinione. Come giustificare un’evidenza palesemente sbagliata? La strategia difensiva del ministero partirebbe dal presupposto che la quota del 40% non si applica alla cifra complessiva, ma alla parte del bando finanziata dal Pnrr, equivalente a 545 milioni. Una teoria poco convincente siccome il bando è inequivocabile e dichiara che tutti i progetti presentati devono seguire la specifica contabilità del Pnrr, che prevede la riserva del 40% al Sud, come obiettivo trasversale della coesione.

E’ incomprensibile che ad oggi non sia ancora chiaro come le quote Sud non siano lì a caso, ma rientrino in una precisa strategia volta a risanare gli squilibri atavici del sistema Paese. Per citare il presidente Sergio Mattarella, i burocrati ministeriali dovrebbero tenere a mente che «le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale di crescita».

Per fare ricerca servono sia talenti che macchinari innovativi. Il punto è semplice: chi ha i soldi per assumere ricercatori e acquistare la strumentazione adeguata cresce, gli altri restano al punto di partenza e gli squilibri persistono, deteriorando una società vulnerabile che già fatica a fare passi avanti.

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