La pandemia allarga il solco tra Centro-Nord e Sud

Le misure che sono state adottate dal Governo (quello in carica ed il precedente) per arginare il crollo dell’economia a causa della pandemia sono tutte buone, tutte apprezzabili, almeno nelle intenzioni; un po’ meno per i tempi di cui stanno necessitando perché divengano uno strumento realmente efficace. È un problema che ci porteremo per chissà quanti anni, perché l’opinione pubblica non considera che aprire i cordoni della borsa per aiutare le aziende in crisi è una cambiale in bianco per chi sarà chiamato a fronteggiare i buchi che i crediti di oggi hanno aperto nei bilanci di domani. Ne stanno discutendo in queste ore in Francia, dove la commissione Finanze del Senato, plaudendo comunque all’azione del governo ed alla sua politica dei crediti alle aziende per evitarne il fallimento, preconizza un futuro fosco, una – è questa la frase usata – ‘’bomba ad orologeria’’ sul cammino degli esecutivi degli anni che verranno.

numeri spesso piegati a esigenze politiche

In Italia gli effetti della pandemia sono evidenti, anche se alcune parti politiche ed una certa informazione hanno cercato di piegare i numeri alle rispettive esigenze: di raccogliere, anzi raccattare il consenso degli scontenti oppure di mettersi al servizio di determinate ideologie, tutte comunque meritevoli di rispetto, ma non certo di vedere piegata la verità per fini meramente politici. Di certo, comunque, il Covid-19 ha allargato ancora di più la forbice economica tra il Nord ed il Centro e, quindi, il Sud, che con la pandemia ha perso molto di più rispetto alle altre zone del Paese, perché originariamente più debole e quindi in maggiori difficoltà. Recuperare il distacco con il resto d’Italia sarà difficile, nel breve e anche nel medio periodo. Una ricorsa difficile, come se – ci si consenta il paragone – ad un ciclista si chiedesse di raggiungere il gruppo in cima al Mortirolo, da solo, sotto una nevicata, senza sellino e con un triciclo. 

tra Nord e Sud prospettive diverse rispetto alla crisi

La chiusura delle attività, con quella delle frontiere (e quindi con lo stop agli arrivi dall’estero come corollario), ha spazzato di fatto molto più che una stagione turistica, perché ha ricacciato indietro, nella scala dell’efficienza produttiva, tantissime aziende del settore dell’ospitalità nel Sud che vivevano di presenze e su di esse programmavano il futuro. La crisi che ha falcidiato anche il Centro ed il Nord ha causato danni gravissimi al tessuto produttivo, che però porta in sé stesso il seme della potenziale rinascita anche perché i territori godono di una macchina amministrativa efficiente e pronta a risorgere.  Al Sud invece è tutto diverso e non per un discorso di attitudine al lavoro ed all’impegno, quanto perché, per ragioni che non stiamo qui a riassumere o esaminare, la situazione complessiva rende tutto più difficile.

benvenuta alta velocità

A partire dalla rete delle infrastrutture le cui carenze sono evidenti al punto tale che il prospettato allungamento dell’Alta velocità fino alle regioni meridionali piuttosto che una normale evoluzione della politica dei trasporti viene celebrata come chissà cosa, quasi fosse un miracolo. Dimenticando, evidentemente per troppa leggerezza, che un Paese che vuole essere equo con tutti i suoi amministrati non può fare arrivare solo oggi l’Alta velocità in alcune zone, mentre nel resto dell’Italia è presente da decenni. Quindi oggi plaudiamo all’annuncio del governo che anche al sud arriverà l’Alta velocità, sebbene non interrogandoci sul fatto che prima si fermava a a Napoli, quasi che il resto del Meridione fosse condannato a viaggiare placidamente, senza strappi, per potere godere con tutta calma del panorama che sfila davanti ai finestrini.

alla pandemia si sono sovrapposte emergenze preesistenti

C’è anche questo aspetto da considerare su cosa abbia comportato la pandemia nel meridione d’Italia perché, all’arretratezza endemica, si è aggiunta la massa di problemi che le restrizioni hanno indotto e che, in alcuni casi, come quello della Calabria, si sono sovrapposte a situazioni emergenziali che, contraddicendosi in termini, durano da venti anni e più. Quindi la pandemia delle morti nei reparti di terapia intensiva, della penuria di respiratori, di turni massacranti per medici e operatori sanitari che tanto eco hanno avuto quando ne sono stati teatro gli ospedali del Nord, in Calabria sono stati considerati come il simbolo di una perenne sconfitta, ma solo per i calabresi, quando forse, invece, le colpe – che certamente ci sono – si dovrebbero attribuire anche a coloro che hanno consentito che ciò accadesse non intervenendo prima davanti al grido di dolore che pure spesso s’era levato.

cosa significa il 40% dei fondi PNRR destinati al Sud

Oggi si dice che il governo mostra una nuova e più alta attenzione per il Sud e forse è vero perché, leggendo il testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci si accorge che, dei circa 206 miliardi di euro che arriveranno dall’Europa, il 40 per cento (82 miliardi) sono destinati al Sud. Un dato di evidente importanza, anche se, a leggere i commenti della stampa nazionale, subito accompagnato dal fatto che a fronte del 40 per cento dell’ammontare dei fondi, nel Meridione abita solo il 32 per cento della popolazione residente e che il Sud contribuisce al Pil con appena il 22 per cento. Considerazioni macroeconomiche che bisognava fare, ma che, ad un lettore appena appena più smaliziato, sembrano segnare, per l’ennesima volta, le differenze che separeranno sempre il Sud dal resto del Paese. 

in dieci anni la spesa per il Mezzogiorno è crollata

Nel Pnrr si sottolinea che la quota del 40 per cento potrà aumentare se il Sud saprà sfruttare queste opportunità, ma forse non si considera che Nord, Centro e Sud scattano da blocchi di partenza collocati a distanza differente, a tutto svantaggio del Meridione. Una esagerazione? Forse, ma se si pensa che la spesa pubblica per investimenti per il Sud dal 2008 al 2018 è passata da 21 a 10 miliardi il dubbio si rafforza. Che poi, a leggere le finalità del Pnrr, ci si accorge che queste distanze (spesso un vero e proprio baratro) tra il Sud ed il resto del Paese sono talmente evidenti che lo stesso governo non ha potuto che prenderne atto, contestualmente alla consapevolezza che la pandemia ha aggravato una situazione che era ampiamente sottovalutata. Diciamo questo perché se oggi nel Pnrr si parla di “migliorare la presenza di asili nido e scuole per l’infanzia” è perché è di tutta evidenza che questo è un problema che preesisteva ben prima della pandemia (e che quest’ultima ha reso ancora di più inaccettabile) in un Paese che sino a ieri ha chiuso gli occhi su una così stridente disparità che non è solo scolastica, ma sociale ed economica.

la questione lavoro al Sud e non solo: la tragica fine di Luana

Il Piano, nella sua articolazione, guarda tutto e tutti, cadendo però in un involontario umorismo quando si propone “un piano d’azione contro il lavoro sommerso” che, se si è ben capito, è quello non ufficiale, quello che, in tempi in cui il politically correct era sconosciuto, si poteva definire “lavoro nero” senza la paura che qualcuno si potesse offendere. Giusto, anzi bellissimo, se solo non si considerasse che una parte dell’economia del Sud si basa su questo lavoro parallelo, precario, irregolare, non per scelta, ma perché di lavoro “vero” proprio non ce n’è. Ma non è un problema solo del Sud, come testimoniato dal recente caso di una ragazza, Luana D’Orazio, poco più che ventenne, che, dovendo crescere da sola il suo bambino, s’è messa alla ricerca di un lavoro, trovandolo in una azienda tessile. Solo che, assunta con un contratto da apprendistato per lavori d’ufficio, è morta in fabbrica,  dove lavorava priva di ogni formazione. Per favore, non parliamo di incidenti sul lavoro. Quello di Luana non è stata una ”morte bianca”, ma un omicidio. Colposo, ma pur sempre  omicidio.

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