Mezzogiorno e scioglimenti per mafia: se lo Stato è comunque sconfitto

Sciogliere un consesso elettivo per infiltrazioni mafiose – che resta una scelta dolorosa – è forse l’ultimo baluardo che lo Stato innalza per difendersi laddove non ci riescono i cittadini. Un sillogismo forse forzato, ma che aiuta a capire quanto lunga, difficile – ma che deve ancora essere condotta col massimo della forza e della determinazione -, è la lotta delle Istituzioni contro la criminalità, quale che ne sia il colore (ovvero l’estrazione territoriale o i concetti che la ispirano). Ogni anno, quando la primavera comincia ad affievolirsi, quasi a volerci rammentare quali siano i nostri problemi come Paese, arrivano le statistiche e gli elenchi del Ministero dell’Interno che ci ricordano (l’effetto è quello di uno schiaffo alle nostre certezze civiche) che nonostante tutto ci sono ancora delle assemblee elettive, che dovrebbero rappresentare la massima istanza della democrazia, che nascono non per rappresentare le istanze dei cittadini, ma di ben determinate (nell’estensione, nelle finalità, nell’esercizio del potere di intimidazione) consorterie che si nutrono della paura della gente. 

colpisce il dato dei piccoli paesi

Ad imporre una riflessione non sono i numeri – almeno quelli relativi a quanti, tra Comuni o Aziende ospedaliere, siano stati sciolti nell’ultimo anno – quanto che, in alcuni casi, tali provvedimenti sono stati decisi per Consigli municipali di paesini che, a guardare in filigrana il relativo tessuto economico, non dovrebbero generare interesse in chi guarda ed agisce solo per il guadagno. Eppure non è un controsenso perché le mafie attecchiscono laddove c’è possibilità di lucrare sulla paura, e poco importa se questo esercizio del potere criminale viene esercitato nei confronti di un paesino che magari vive di una economia residuale rispetto al resto della provincia o regione. E’ la celebrazione della rapacità fine a sé stessa, del volere depredare anche se si tratta dell’ultimo tozzo di pane o dell’ultima goccia di latte.

Un copione che si ripete

A scorre l’elenco dei Comuni sciolti sembra, apparentemente, che il tempo passi invano, che ci si riproponga, a distanza di un anno, il medesimo sconcertante spettacolo, perché alcuni nomi si ripetono, mentre di altri si aspettava solo che arrivasse l’annuncio ufficiale di scioglimento sospettando che a comandare fossero sempre alcuni – gli stessi – soggetti e non certo il  popolo che non è ”bue”, ma di certo ostaggio. E non c’è memoria che possa cancellare la paura, ma anzi l’accresce facendo tornare alla mente episodi e persone che, per la fine che hanno avuto, sono da sole un esempio da cui è difficile staccarsi. “La storia è la memoria di un popolo e senza una memoria l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore”, disse Malcolm X, che forse parlava dei massimi sistemi ed anche bene, ma non conosceva la paura che incute uno sguardo minaccioso, che resta impresso nella carne, come un marchio a fuoco. Nell’arco di dodici mesi 21 Comuni sono stati sciolti per ‘ndrangheta in Calabria; 14 in Sicilia per mafia; otto in Puglia; sette in Campania per camorra; uno, rispettivamente, in Basilicata e in Valle d’Aosta. A conferma che nel Meridione la presenza del crimine associativo di tipo mafioso non è solo un caso da studiare sociologicamente, ma da comprendere perché resta ancora abbarbicato alla società, da cui succhia nutrimento.

tanti comuni “recidivi”

E forse, più che l’elenco degli enti locali sciolti, bisognerebbe riflettere sul fatto che, in esso, figurano Comuni che sono ”recidivi” essendo stati giù sottoposti a provvedimento di scioglimento e di esso non hanno fatto tesoro, ricreando le stesse condizioni, a distanza di anni, tali da incorrere di nuovo nella cancellazione. E addirittura ce ne sono che, lo scorso anno, sono incorsi in una ennesima proposta o addirittura nel terzo scioglimento per mafia, come se quindi la Storia non abbia insegnato nulla meritevole d’essere ricordato. Careri (2012), Arzano (2008 e 2015), Sinopoli (1991), Torretta (2005), Misterbianco (1991), Orta di Atella  (2008), Africo (2003 e 2014): nomi che tornano e che sembrano ormai essersi assuefatti al potere intimidatorio della mafia, sconfiggendo la Primavera delle coscienze che sembrava essere germogliata.

Comuni sciolti che hanno dimenticato la democrazia   

Allora, chiediamoci, se è veramente efficace lo strumento dello scioglimento di un Consiglio comunale se, alla fine, non incide nella memoria collettiva e, a distanza di anni, si ripropone il medesimo schema tanto caso a Cetto Laqualunque. Ed ancora un altro interrogativo: quale cogenza reale hanno avuto gli atti dello Stato, una volta sciolto per mafia un consiglio comunale, con i quali ha cercato di modificare il pensiero della gente se, a distanza di 30 anni (come nel caso di Sinopoli e Misterbianco), un paio di generazioni di votanti, le urne hanno rimandato le stesse persone, magari con identità diverse, a fare da colletti bianchi alla famiglia dominante di turno?

in calabria le uniche due aziende sanitarie sciolte per mafia

Ma forse, a dare maggiore sostanza alle preoccupazioni che dovrebbe nutrire ogni comunità di amministrati, è che in Calabria sono due (le uniche in Italia) Aziende sanitarie provinciali ad essere sciolte per inquinamento mafioso. Qualcosa su cui riflettere perché se la ‘ndrangheta penetra il sistema sanitario non è solo perché da esso possono derivare enormi guadagni, quanto perché essa – la mafia calabrese – ha la capacità di renderlo permeabile a nomine e promozioni pilotate, come lo sono gli appalti e le relative gare, con uomini che, soprattutto se medici, cancellano il giuramento di Ippocrate a quello fatto nelle mani del capobastone. A pensarci bene, non è che ci sia grande differenza con quanto accade al nord solo che lì a piazzare i propri uomini, per piegarli a logiche spartitorie, sono altre consorterie che ritengono di darsi nobiltà d’intenti con torbide pennellate ideologiche. 


Alcuni grafici riassuntivi dei dati sugli scioglimenti per infiltrazioni mafiose fino ad oggi

Fonte Avviso Pubblico

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