Mezzogiorno: il regno delle Cattedrali nel deserto

Rischiò di rimanere un “abbozzo” anche il Museo archeologico della Magna Graecia di Reggio Calabria, quando – durante la sua completa ristrutturazione – si scoprì che mancavano all’appello ben dieci milioni di euro per finire l’opera. Il lieto fine arrivò con un accordo Regione-Governo: cinque milioni di euro a testa e partita chiusa.

Il paradosso di quella vicenda (un’opera che doveva costare 17 milioni posti a base di gara e addirittura giunta a 11 con il ribasso, infine costata oltre 33) è tutto in una immagine: il Museo riavviato a “tranci”. Prima il rientro dei Bronzi di Riace e, solo dopo tre anni, brindisi finale.

Malgrado tutto, quel Museo “almeno” riaprì. Sono, tuttavia, tantissime le opere che hanno ben più triste sorte.

In Italia la situazione non è rosea, quando si parla di opere pubbliche. Ma è il Sud a detenere un primato di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. La Calabria per biblici tempi medi di completamento e la Sicilia per numero di infrastrutture in secca: 133 nel 2020 (dato trasmesso il 28 giugno 2021 dalla regione all’Anagrafe Opere Incompiute). Da sola, l’isola ne conta più di Piemonte, Liguria, Calabria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata messe insieme.

IL RAPPORTO BANKITALIA CALABRIA

Undici anni: sono i tempi medi (in molti casi si impiega molto di più) per completare in Calabria le opere pubbliche di importo superiore a 20 milioni di euro. Notizia recente e poco confortante, direttamente dal rapporto Bankitalia Calabria appena pubblicato. Un dato impressionante. E poco serve per confortarsi andare a vedere cosa succeda con le opere più “economiche”.

Scrive Bankitalia: “Il tempo medio di realizzazione delle opere pubbliche si attesta (in Calabria, ndr) a circa quattro anni e mezzo, un dato superiore alla media nazionale. Di questi, il 20 per cento è rappresentato da tempi di attraversamento tra una fase operativa e la successiva. La fase di progettazione risulta essere quella di maggiore durata (24 mesi in media), con un’incidenza particolarmente elevata dei tempi di attraversamento, sui quali pesa anche l’affidamento dei lavori. Le fasi di esecuzione e conclusione hanno entrambe una durata media di circa 15 mesi”.

LE RAGIONI DEL RITARDO SECONDO LA BANCA D’ITALIA

“Il ritardo infrastrutturale che caratterizza le regioni del Mezzogiorno riflette spesso le difficoltà delle Amministrazioni e degli enti pubblici nella progettazione e nella realizzazione delle opere pubbliche – è l’analisi –  tale fenomeno risulta ancor più rilevante a seguito della necessità di accelerare gli investimenti pubblici in risposta alla crisi pandemica”.

In effetti, anche secondo l’Istituto, e “Sulla base dei dati di OpenCup, prima dell’emergenza Covid-19, si era osservata una ripartenza del ciclo dei lavori pubblici in Calabria. In particolare, le decisioni di investimento in opere pubbliche nel territorio regionale erano cresciute sensibilmente nel triennio 2017-19 rispetto a quello precedente”, scrive Bankitalia.

Calando la lente nel dettaglio delle cifre, il rapporto spiega che “In termini di valore, i nuovi progetti decisi nel triennio 2017-19 sono ammontati a 8,4 miliardi di euro (5,6 miliardi nel triennio precedente), pari al 5,1 per cento del totale nazionale. L’incremento è stato trainato dai Comuni, a cui è riferibile oltre la metà del valore degli interventi programmati. I progetti dei Concessionari di reti, che nel triennio precedente avevano rappresentato la parte più consistente del costo dei progetti avviati, si sono invece ridotti”.

Ambiente, trasporti e infrastrutture sociali le aree di intervento privilegiate. Cosa più importante, tuttavia, è che ben “Il 27 per cento delle risorse è stato indirizzato a progetti il cui costo unitario è superiore a 20 milioni di euro”. Per intendersi, proprio quelle opere che impiegano in media, in questa regione, 11 anni per essere completate. Auguri.

I dettagli: “Quasi il 60 per cento delle risorse programmate nel triennio 2017-19 ha riguardato opere di manutenzione straordinaria, mentre quelle per nuove realizzazioni, che si erano contratte in maniera consistente nel triennio 2014-16, hanno rappresentato circa un quarto”.

In più, rispetto al Paese, in Calabria “risulta superiore la quota di interventi aventi come soggetto attuatore un’Amministrazione locale, cui ha fatto capo nel triennio 2017- 19 quasi il 90 per cento degli interventi in materia ambientale e di quelli riguardanti le infrastrutture sociali. I progetti dei Concessionari di reti hanno presentato invece una marcata specializzazione settoriale nelle infrastrutture di trasporto”.

Di fatto, la conclusione dell’ente è semplice e sconsolante al tempo stesso: “L’effettivo beneficio sul sistema economico della ripartenza dei lavori pubblici rimane vincolato dai tempi di realizzazione delle opere”.

In breve, se un’opera impiega in media oltre dieci anni per essere completata, il contesto e le finalità saranno ampiamente superati ed obsoleti. Ritardi che accumulano ritardi, insomma. E il treno del Sud continua ad arrancare.

CASI SIMBOLO DI BURO-FOLLIA

Di incompiute è piena la terra. La Calabria ne vanta di “eccellenti”: le aveva mappate a marzo la Fillea-Cgil Calabria, a partire dalle più impressionanti, in termini di sperpero di denaro pubblico, ma anche di spreco di fatica e speranze.

Ed eccoli alcuni casi-simbolo messi in fila dal sindacato di categoria calabrese, guidato da Simone Celebre. Batte tutti il Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, una gigantesca vela di vetro e cemento rimasta incagliata nelle secche della burofollia.

Un’immagine del progetto del Nuovo Palazzo di Giustizia

Prendiamo a prestito le parole del sindacalista della Cgil, così come rilasciate all’Agi, per sintetizzarne la storia: “Opera appaltata nel lontano 2005 per 50 milioni e costellata di ritardi e contenziosi, con la rescissione del contratto per l’impresa inizialmente appaltatrice e altre vicissitudini per quella subentrante. Incompiuta dopo 15 anni dall’inizio dei lavori e gli operai licenziati o in stato di disoccupazione». E non è tutto. «Anche la ditta che ha vinto l’appalto dei parcheggi del palazzo di giustizia – rileva il sindacalista – per un valore di 20 milioni di euro a base d’asta, dopo l’inizio dei lavori, si è fermata”.

E rischia di diventare storica, come l’antica polis su cui insiste, la Sibari-Sila: «Doveva essere un’arteria strategica per collegare l’area della Sibaritide, sullo Ionio, alla Sila. L’avvio dei lavori risale al 2010 per un importo pari a 28 milioni di euro”. Ma succede che si trovi il cobalto nelle gallerie. Risultato: serviranno altri 48 milioni di euro. “E tutto questo – chiariva il sindacalista all’agenzia di stampa –  riguardava solo il primo lotto, mai consegnato”.

Dalla terra al cielo non va meglio con l’aviosuperficie di Scalea: doveva essere pronta e fruibile nel 2017.

Il motivo dell’impasse? “Semplice”: “Viene costruita sul letto del fiume Lao, dichiarato ad elevata pericolosità idraulica dall’Autorità di bacino, e costruita non solo nel letto di un fiume ma anche in un’area molto vicina alla zona di protezione speciale della riserva statale Valle del fiume Lao, interessata anche da fenomeni di erosione».

Una menzione di disonore anche per la diga sul fiume Melito. Incompiuta quanto le altre. Un “patrimonio nazionale” trasformato in una costellazione di monumenti all’inefficienza.

ANAGRAFE OPERE INCOMPIUTE: SICILIA “STACCA” TUTTI E RESTA (TRISTEMENTE) IN TESTA

Le ultime notizie sulle opere “sospese” in Italia sono state pubblicate in questi giorni sul sito del Sistema Informativo Monitoraggio Opere Incompiute (SIMOI). Una sorta di muro del pianto con tutte le infrastrutture pubbliche finite in un limbo.

Alla spicciolata, dai primi di giugno, le regioni stanno comunicando i numeri al Simoi. Non si riesce ancora ad accedere ad alcuni dati, ma una cosa è certa: la Sicilia riesce a totalizzare da sola più di Piemonte, Liguria, Calabria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata messi insieme. Ecco i numeri che Sud e Futuri ha estrapolato dalle singole comunicazioni appena inviate dalle regioni:

Statale e sovra-regionale 26
Regione Valle d’Aosta 2
Regione Piemonte 7
Regione Liguria 3
Regione Lombardia 24
Regione Veneto 11
Regione Friuli Venezia Giulia 2
Provincia Autonoma di Trento –
Provincia Autonoma di Bolzano –
Regione Toscana 12
Regione Emilia-Romagna 7
Regione Marche 15
Regione Umbria (dato non risultante)
Regione Lazio 21
Regione Abruzzo 26
Regione Molise 10
Regione Campania 19
Regione Basilicata 16
Regione Puglia (dato non risultante)
Regione Sardegna (dato non risultante)
Regione Calabria 23
Regione Sicilia 133

A giorni dovrebbero essere pubblicate le stime totali, con tutti i dati e il confronto con gli anni precedenti. Ma già uno sguardo a queste tabelle dà una idea del trend dell’ultimo anno appena trascorso. Il triste primato dell’isola era già stato evidenziato nei primi di gennaio, e su dati riferiti al 2017, nell’indagine di Sensoworks (www.sensoworks.com), la startup italiana specializzata in monitoraggio infrastrutturale dotata di una piattaforma multilivello. Sensoworks aveva scattato una interessante istantanea della situazione generale italiana: l’Italia ha 850.000 chilometri di strade, 2.200 gallerie, 21.100 ponti e 6.320 cavalcavia. 

Questo è il patrimonio.

Dall’altra 1.040 opere ferme o non finite: 640 le grandi opere incompiute (tradotto in soldoni 4 miliardi di euro di risorse spese) e 400 quelle bloccate per motivi burocratico-autorizzativi o contenziosi, per un valore di 27 miliardi di euro.

E questo è lo scandalo.

Ancor peggio: per un milione di chilometri di strade e ferrovie i dati neanche ci sono.

“Geografia sull’Efficienza Infrastrutturale” il titolo della ricerca su dati messi insieme da Istat, Eurostat, Aisre, Unioncamere e Confartigianato. Secondo Sensoworks “Il PNRR potrà dare un contributo significativo anche nel recupero delle nostre strade”.

C’E’ CHI DICE “MAH”

Per l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani – Unicatt (OCPI), diretto da Carlo Cottarelli, in realtà in Italia non si sa neanche di cosa si stia parlando e tutti i dati rilevati restano assolutamente parziali. Ne ha redatto un documento, dal titolo “L’incompletezza dei dati sulle opere pubbliche in corso”, Alessandro Cascavilla nel giugno 2020.

“I dati ufficiali sulle opere pubbliche in corso pubblicati dal MIT e dal MEF – è la denuncia –  o comunque a questi disponibili, non consentono una chiara definizione di quanto si è stanziato e speso per le opere pubbliche in corso e di quanto resterebbe da spendere o da stanziare per portarle a termine. In un momento in cui riavviare le opere pubbliche è di fondamentale importanza sarebbe utile se migliori informazioni fossero disponibili e pubblicate in quest’area. Ciò detto, i dati disponibili suggeriscono che sarebbe possibile imprimere un forte impulso all’economia nazionale anche soltanto completando le opere in corso”.

In breve: va rivisto tutto. Anche il sistema di rilevazione nazionale. Una sola cosa è certa. L’obiettivo resta portare tutte le regioni a comunicare, laconicamente, come la  Provincia autonoma di Trento pochi giorni fa all’Anagrafe Incompiute: “Comunicazione Opere Incompiute. Anno di riferimento 2020. Sezione: Provincia autonoma di Trento. Si comunica che per l’anno 2020 le amministrazioni della Provincia autonoma di Trento non hanno segnalato la presenza di opere incompiute”.

editoriali

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