Si parla di riforma elettorale: peccato che il focus non sia sull’astensionismo ma su come riuscire ad approfittare dell’attuale stato di cose per garantirsi l’occupazione del potere
il mondo brucia. La situazione internazionale è sempre più complessa e sulle sue possibili evoluzioni non ci sono analisi indiscutibili e confortanti: è tutto in vorticoso movimento, non è possibile indicare con un minimo di certezze quali sbocchi si potranno trovare per le crisi che si accumulano pericolosamente l’una sull’altra.
In questo contesto chi lamenta che l’Italia non starebbe facendo abbastanza per contribuire a trovare soluzioni sembra non capire che sta chiedendo al nostro governo di svuotare il mare con un cucchiaio. Certo ci si può rammaricare che nel complesso l’Europa non riesca ad esercitare un peso di qualche rilievo, ma anche in questo caso si sorvola sul fatto che non ha strumenti adeguati.
Le sanzioni si sono dimostrate armi piuttosto spuntate e misure come il bloccare i rapporti con gli stati in guerra specialmente non vendendo loro armi sono ambigue: si rischia di colpire quelle parti che hanno delle ragioni senza scalfire quelle che hanno torto. Soprattutto si mettono in atto interventi che complicano il quadro delle relazioni e che incitano i peggiori nazionalismi, piuttosto che contribuire ad un ritorno alla ragione.
Il mondo brucia e il governo naviga a vista
Così non è il caso di perdere tempo a chiedere al governo politiche di grande respiro che non è in grado di gestire, accontentandosi di aiutare la navigazione a vista che conduce per forza di cose: ciò che invece non viene fatto né dalle opposizioni, né da settori della maggioranza.
Peraltro rendendosi conto della situazione, pur non volendola ammettere, tutte le forze politiche stanno tornando a concentrarsi su alcuni nodi della politica interna: purtroppo non quelli più importanti (riassetto strutturale di settori chiave dalla sanità, al fisco, ecc.), ma quelli che più interessano alla politica politicante, cioè le riforme elettorali.
Il mondo brucia ma il problema è garantire l’occupazione del potere
Anche in questo caso il focus non è sul modo di recuperare il fenomeno dell’astensionismo, ma su come riuscire ad approfittare dell’attuale stato di cose per garantirsi l’occupazione del potere: sia a livello amministrativo, sia a livello politico nazionale.
Al momento sembra si stia provando a negoziare, se possibile lontano dai riflettori, su riforme che possano far uscire il sistema da un certo “congelamento” nella distribuzione dei consensi. A dispetto di qualche discorso che si continua a fare sulla fluidità del consenso elettorale, le analisi mettono in rilievo una fissità se non proprio delle percentuali di consenso dei diversi partiti (per la verità anche da questo punto di vista non è che ci sia grande mobilità), certamente nella distribuzione complessiva dei voti fra l’attuale destra-centro e l’attuale sinistra di vario conio (il centro per ora continua ad essere una formazione gassosa che stenta a trovare una forma).
Il mondo brucia mnetre aumentano le manovre tra elezioni regionali e politiche
È a partire dalla consapevolezza di questo quadro che si affrontano i due problemi che i politici sentono come centrali: garantire la permanenza in campo di chi ha consolidato a livello regionale o municipale una propria rete di consensi grazie ad un lungo esercizio del potere; introdurre per le elezioni nazionali un sistema che mitighi, se non proprio renda inutile la tessitura di ampi consensi.
Il problema del terzo mandato
Il primo tema è quello del cosiddetto “terzo mandato” per governatori di regione e forse anche sindaci. Poiché è sempre più difficile far maturare classi dirigenti ricche di personalità capaci di imporsi, i gruppi di potere di ogni partito preferiscono puntare sulla loro stabilità attorno ad una figura che ha già avuto modo di gestire un sistema di radicamento.
In un contesto in cui è scarsa la propensione degli elettori a prendere in considerazione che cambiamenti in meglio sono possibili, funziona bene il richiamo all’usato sicuro. Del resto luoghi e occasioni per “fare politica” ce ne sono sempre meno, visto che tutto è più o meno amministrazione (con poco controllo) in mano ai vertici.
La voglia di proporzionale per le politiche
Il secondo tema riguarda il ritorno per le elezioni nazionali ad un sistema sostanzialmente proporzionale, che esoneri dalla fatica di gestire quel meccanismo poco efficace dei collegi uninominali, dove si devono unire sforzi di costruzione di ampie alleanze (difficili con partiti deboli in grado di imporre una vera regia) e investimenti esorbitanti in comunicazione manipolativa.
Meglio tornare ad un sistema che si rivolge agli elettori facendo leva sulle diverse “fedi” che si possono pilotare a livello nazionale e pazienza se così ciascuno parlerà sempre più solo alla sua “tribù”.
La personalizzazione delle candidature di vertice
Unisce i due disegni la volontà di fare perno sempre più sulla personalizzazione delle candidature di vertice: si tratti di sindaci, governatori, candidati alla Presidenza del Consiglio, il gioco deve rimanere nello schema “un capo e i suoi fedeli”. Anzi, per evitare rischi, la proposta è abolire il meccanismo delle elezioni che richiedono per la vittoria almeno il 50% + 1 dei voti e in mancanza il ballottaggio fra i due più votati, perché così gioco forza ci si può trovare a dover cercare consensi oltre i confini della propria tribù.
E allora più semplicemente riduciamo tutto al confronto fra le tribù così come sono e se una prevale abbastanza sulle altre si prende il potere. Che questo “abbastanza” possa essere una soglia del 40% o altro, si vedrà.
Il mondo brucia ma la politica italiana sembra miope
Dovrebbe sembrare un po’ strano che in un momento in cui il mondo brucia, in cui ci troviamo di fronte a molte incognite nonché a prove non semplici da superare manchi una classe politica capace di comprendere che servirà a poco trovare un marchingegno per ridurre un sistema di selezione della rappresentanza ad un meccanismo che deve semplicemente trovare un “vincitore” e non importa quale.
Qui non siamo in uno sport che può prevedere tempi supplementari e meccanismo dei rigori perché un vincitore deve per forza averlo. Stiamo parlando della necessità di costruire un meccanismo che produca ragionevole concordia e legittimità nella gestione della cosa pubblica.
Fonte MentePolitica