Ogni Papa riceve un lascito. Quella del gioco sottile di Francesco, ricevuta da Leone, è la chiave di lettura della timidezza del Pontefice nelle questioni mondiali
Ogni Pontefice riceve un’eredità. Quella di Francesco, ricevuta da Leone, è la chiave di lettura della timidezza del Pontefice nella delicatissima questione del confronto fra Israele ed Iran, Paesi non cristiani ed eppure pesi massimi nelle relazioni internazionali della Santa Sede. Non solo perché a latere di questa sanguinosa questione appaiono attori nei quali la Chiesa è sí una forza sociale ed economica importantissima (Stati Uniti ed Europa), ma anche perché Bergoglio aveva stabilito un gioco sottile tanto nelle relazioni con diverse Potenze islamiche quanto nella definizione del rapporto fra Cristianesimo ed Islam.
L’eredità di Francesco e il territorio minato in cui si muove Leone
Leone, statunitense, si muove in un territorio minato. Deve salvare i rapporti in difficoltà con parti del Sud Globale – affidati al Cardinal Sarah, in missione speciale – ma deve ridefinire alcune posizioni delicate che Bergoglio aveva formalizzato in testi quali “Fratelli Tutti” o nel Documento sulla fratellanza umana, e materializzato nella sua visita in Iraq. Si tratta di posizioni che sono state definite al limite dell’eterodossia, di un ecumenismo esasperato, politicamente utili ma ora pericolose. Toccare i fili scoperti di queste relazioni puó costare molto nelle relazioni con un certo Islam. Il tutto avendo sulle spalle un rapporto nuovamente florido, ma ora forse scomodo, proprio con l’Iran. E con una Russia in attenta osservazione.
Bergoglio aveva ricevuto un omaggio funebre dal Presidente Putin, che ne aveva elogiato le capacità e la proattività nel tentare soluzioni nel conflitto con l’Ucraina. Parole simili erano provenute dall’Iran. L’ambasciatore persiano presso la Santa Sede, Prof. Mokhtari, si era espresso soli pochi mesi prima della scomparsa di Francesco auspicandone una visita a Teheran: “sarebbe accolto a braccia aperte”, diceva. Ed aveva probabilmente ragione.
Francesco e il gioco della diplomazia prima di Leone
L’abile diplomazia persiana aveva puntato su un uomo di intelletto come Mokhtari, la cui formazione è centrata sulle relazioni inter-religiose (è stato Rettore dell’Università delle Denominazioni Islamiche, ovvero di una “stanza di compensazione” accademica fra Sunniti e Sciiti, ed autore di studi comparativi fra Cristianesimo e Islam) per condurre le relazioni fra la Repubblica Islamica ed una Santa Sede che aveva vissuto con essa un periodo, per dirla elegantemente, non ottimale.
La visita in Iraq del 2021 aveva segnato un minimo nel dialogo fra Teheran ed Oltretevere: Francesco era stato ospitato da Sistani (ne avevamo parlato in questo articolo linkato), persiano e capo della Scuola di Najaf, sciita ma campione di una lettura giuridico-politica opposta ed alternativa rispetto a quella vigente in Iran, ovvero il Velayat-e Faqih elaborato da Khomeini e base teorica dell’attuale sistema di potere persiano.
Quello stesso Sistani, apprezzato dagli Statunitensi, l’anno precedente si era rifiutato di incontrarsi con l’allora capo della Magistratura iraniana, che era nientemeno che Reisi. Questo, a Teheran, non poteva che essere letto in un senso: il Papa dialoga con interpreti sciiti alternativi al sistema della Repubblica Islamica – con la quale ha invece formali relazioni diplomatiche aperte da quasi settanta anni -, e quindi ci bypassa.
Francesco leggeva i tempi “gesuiticamente”
La cosa necessitava di una soluzione, che sarebbe arrivata, aiutata dal dinamismo di Bergoglio, spesso letto come confusionario e contraddittorio ma in realtà tendente a gesuiticamente a leggere i tempi ed a prendere in contropiede avversari ed alleati: una volta conclusa (in Iraq, appunto) la missione di perfezionamente dell’approccio coi sunniti (al-Azhar, il Gran Muftí del Cairo, eccetera) avendoli portati alla firma del Documento sulla fratellanza umana (un testo ecumencico fino allo stremo, accusato di tendenze gnostiche – e che Sistani si rifiuterà di firmare), Bergoglio ha potuto ricucire con l’Iran.
Questo avviene in un modo eclatante, ovvero elevando al cardinalato il Vescovo di Teheran-Isfahan. Si tratta – come lo stesso Bergoglio ebbbe a dire – di un riconoscimento al Paese. Francesco riconosceva che non era assolutamente vero che in Iran il Governo fosse contro i cristiani. Evidentemente, una mossa politica, effettuata nel contesto della trasformazione dell’istituto del cardinalato da ristretto collegio a rappresentazione delle tendenze sociali della Chiesa nel mondo delle periferie. Si legge: siamo anche qui, il mio uomo qui è importante perchè voi siete importanti per noi. Una mossa alla Papa Nero.
Mokhtari sarebbe stato nominato poi Ambasciatore presso la Santa Sede proprio da quel Reisi, rifiutato da Sistani e poi diventato Presidente della Repubblica.
Leone “agostiniano” e le differenze con Francesco
Ora, Leone non puó che proporsi in una veste diversa: il suo stile è agostiniano. Di Francesco puó usare ancora la spinta verso le periferie (si è presentato come missionario a Chiclayo, nel suo primo discorso ha parlato in italiano ed in spagnolo, non ha usato una prola in inglese) ma non puó giocare in un ruolo da fantasista che non gli è congeniale. Deve anche recuperare una certa ortodossia in materia di fede, perchè il Sud globale è diviso in due:
- Quello dal quale derivava Bergoglio, l’estrema sinistra della Teologia della Liberazione,
- Quello della conservazione, dell’osservanza, dell’Africa, che non puó perdersi ma che rischia lo scisma.
Leone e l’eredità di un difficile rapporto con Israele
Per questo, a fine maggio del 2025 Leone nomina il conservatore Cardinal Sarah come inviato speciale per il Sud globale. E Sarah è partito per sedi molto distanti fra loro: l’Africa, il Sud America, il Sud-Est Asiatico. La sua, una missione difficilissima. Dovrà rendicontare, analizzare e presentare al Pontefice uno “stato di situazione” dal quale potersi muovere. Ma come?
Il rapporto coi Musulmani sunniti non puó – se ad una maggiore ortodossia vuole andare Leone – restare fissato ad una visione dell’ecumenismo tanto spinta come quella bergogliana. Perderli significherebbe peró dare man forte ad un processo di scontro, e “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.
Nel contesto dell’attuale conflitto, Leone eredita una cattiva relazione con Israele: le dichiarazioni dell’Ambasciatore israeliano a Roma sono neutre nei confronti del nuovo Papa, mentre quelle rivolte da Israele a Francesco furono sprezzanti: Leone non puó dunque che proporsi come mediatore, usando parole neutre e piene più di lessico cristian-misericordioso che di parole-chiave di peso politico. Ma lo fa, appunto, con molta moderazione, presentandosi in un contesto nel quale già altri mediatori – di maggiore aggressività – si sono presentati: in primis, Vladimir Putin.
Fonte Geopolitica.info