I limiti dell’emergenza secondo Baldassarre: «Non siamo in guerra»

La libertà non è negoziabile: le carenze ed i pericoli attuali e della “fase 2” analizzati giuridicamente da Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale


C’è una carenza costituzionale “criticabile” nella gestione attuale dell’emergenza: il potere del Governo deve essere svolto in un confronto continuo con il Parlamento o con rappresentanti parlamentari. Parola di Antonio Baldassarre, accademico e costituzionalista italiano, presidente emerito della Corte Costituzionale.

Lo abbiamo raggiunto – virtualmente, si intende – nel suo luogo di isolamento, per cercare risposte giuridiche alle domande che ci stiamo facendo tutti: dove finisce la libertà personale (e conseguentemente il diritto alla privacy) e dove inizia la salvaguardia dei cittadini?
Siamo partiti da due libri pubblicati da Baldassarre ben diciotto anni fa, nel 2002, ma ancora attualissimi. Ne Lo stato e il cittadino. Quali diritti? Quali valori? ha elaborato “una teoria del diritto costituzionale conforme ai principi democratici di libertà e di uguaglianza”. In Globalizzazione contro democrazia ha spiegato come la globalizzazione economica e politica porti allo scardinamento di tutte le categorie fondamentali della democrazia politica e dell’equilibrio tra universalismo e ragion di Stato su cui regge qualsiasi esperienza democratica. Incrociando le risultanze di quei due studi con l’attuale emergenza Coronavirus, tra principi fondanti e valori, diritti e doveri, universalismo e ragion di stato, chi vince tra libertà ragion di stato?

«Di fronte ad emergenze come questa la domanda produce quello che un grande giurista del secolo scorso, Carl Schmitt, ha chiamato “stato d’eccezione”. È chiaro che ci sono diversi modi di intendere questo concetto. Se per Schmitt (che non a caso aderì poi al nazismo – quelli cui mi riferisco sono scritti degli anni ’20, ’30 del secolo scorso) significava sospensione dal diritto, in uno stato democratico bisogna fare i conti con una soluzione che metta più in equilibrio le istanze di libertà, che non possono scomparire neppure di fronte ai poteri eccezionali dello stato di emergenza. Questo è il problema: quali sono in una democrazia i limiti di uno stato di eccezione?

La nostra Costituzione non ci aiuta molto: norme sullo stato di eccezione non ci sono, se non limitate allo stato di guerra, che è lo stato di eccezione massimo. Questo perché in tutti i costituenti c’era il timore che, mettendo norme su uno stato di eccezione che non fosse così grave come lo stato di guerra, qualcuno potesse profittare della situazione e rimettere in vita un regime dittatoriale dal quale si era appena usciti e che la Costituzione voleva evitare».

I LIMITI DEL POTERE IN UNO STATO DI ECCEZIONE

«Bisogna andare ai principi generali, ai valori fondanti, i valori supremi della nostra Costituzione e da quelli ricavare i limiti del potere in uno stato di eccezione che non sia uno stato di guerra. Ci sono due fronti.

SUDeFUTURI Palermo Antonio Baldassarre
Antonio Baldassarre a Palermo, nell’ottobre 2019, ospite della prima edizione di SUDeFUTURI

«Uno è quello dell’organizzazione costituzionale: come deve essere esercitato il potere di emergenza. Intanto: spetta senza dubbio al Governo. Ma qui c’è anche una certa carenza nella gestione attuale, che vorrei sottolineare: il potere del governo deve essere svolto con un confronto continuo con il Parlamento o con rappresentanti parlamentari. Ad esempio in Germania il Parlamento può fare un gruppo rappresentativo dei vari gruppi che si confronta con il Governo. Questo da noi non è stato fatto, ed anche il Parlamento è stato ascoltato poche volte. C’è l’incontro del Presidente del Consiglio con i rappresentanti dell’opposizione, ma è un’altra cosa: non è l’organo istituzionale che opera, sono partiti che si confrontano. Questa è una carenza che può essere criticata nel comportamento dell’attuale Governo.

«Poi c’è il fronte dei diritti: entro quali limiti può essere esercitato questo potere che spetta al Governo sotto il controllo del Parlamento? È un punto molto forte: in una democrazia esistono per forza dei limiti. Ad esempio. Si sta parlando da qualche tempo di una app da mettere nei telefonini: penso che sia costituzionalmente illegittimo. Altro è limitare la libertà dell’individuo in certe zone per un tempo delimitato: c’è un’emergenza particolare, la temporaneità è fondamentale. Il tutto deve essere sempre rispettoso della dignità umana e strettamente legato all’emergenza. Anche la restrizione al domicilio deve essere assolutamente limitata. Una ripartizione che colpisca per fasce di età, ad esempio, solleva dubbi di costituzionalità».

SIAMO O NON SIAMO IN GUERRA?
L’IMPORTANZA DI UNA CORRETTA COMUNICAZIONE

Niente stato di guerra, niente stato di eccezione, quindi. Eppure ci sentiamo ripetere continuamente che siamo in guerra contro un nemico sconosciuto e invisibile. Se siamo in guerra vale il detto che, come in amore, non ci sono regole. Ma non lo siamo. Non tecnicamente. Dunque le regole ci sono. E vanno rispettate.
Allora perché non iniziare a chiamare le cose con il loro nome, a partire da questa emergenza, smettendola con le metafore belliche?

«Si può dire che è uno stato di guerra in senso puramente metaforico. Inappropriato in senso stretto: lo stato di guerra, come lo stato d’assedio interno, sono situazioni giuridiche assolutamente diverse dallo stato d’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Può essere una metafora – che tra l’altro crea allarme.

«La comunicazione politica è molto importante. Quando ci sono situazioni di emergenza il cittadino ha una fonte di informazione che è essenzialmente data dai mezzi di comunicazione di massa. E quindi utilizzare continuamente metafore belliche crea qualche allarme. Se parla un governante, ripetendo continuamente “stato di guerra” o “è una guerra che stiamo combattendo” fa un errore di comunicazione perché nell’usare termini più forti di quello che serve crea più allarme di quello che sarebbe necessario ed alimenta la paura collettiva che già è ben radicata – e dunque il pericolo di aumento di comportamenti irrazionali. Si deve stare molto attenti: questa è una situazione diversa da uno stato di guerra, giuridicamente e concretamente».

L’APP DELLA FASE 2

«Nella situazione in cui siamo, con una paura diffusa, molte persone potrebbero rinunciare alla propria privacy e dunque accettare questa app per sapere come muoversi. Già oggi con l’uso della localizzazione dei cellulari si possono ricostruire tutti i nostri movimenti. Non lo fa solo la polizia in caso di indagini penali: ci succede ogni giorno. A chi non è arrivata la pubblicità di uno dei posti in cui si è o si è stato il giorno precedente?

«Essendoci una paura diffusa, il presentare come utile un’app di questo genere significa attutire la sensibilità per i diritti fondamentali della persona che ogni cittadino dovrebbe avere. La miglior garanzia dei diritti umani – come ci hanno spiegato illustri studiosi di questa materia – è la sensibilità che ognuno ha su queste tematiche. Se si abbassa il livello di sensibilità verso questa tutela è facile per qualsiasi potere andare oltre i propri principi costituzionali. La coscienza del cittadino relativamente all’importanza di questi beni è la tutela più alta e più forte di fronte a possibili invasioni di potere.

«Non so se il fatto della volontarietà sia positiva – al di là, ovviamente, di un discorso politico. Ma certamente possiamo leggerla in questa chiave: si porta il cittadino ad abituarsi a controlli molto invasivi, sul confine della tutela della dignità umana. Se un potere pubblico sa tutti i tuoi movimenti in qualche modo entra nel tuo privato, in quell’ambito sacro di privatezza che è la base di ogni altra libertà. Non penso che il potere pubblico possa affrontare questo problema con molta leggerezza. E non mi riferisco solo al piano giuridico».

L’EUROPA NON È MAI NATA

A proposito di abbassamento dei livelli di sensibilità per i diritti fondamentali, stiamo assistendo alla nascita e al consolidamento di estremismi di vario tipo, che minacciano le democrazie europee, e non solo europee. Si chiude invece che aprire, l’autoritarismo rischia di prendere il sopravvento. Cosa sta succedendo?

«All’inizio del secolo scorso la classe dirigente prussiana in disfacimento non è stata in grado di capire quello che stava succedendo, così come in Italia il cosiddetto governo liberale dell’epoca è andato avanti dividendosi continuamente o mai affrontando i problemi. All’indomani della Prima guerra mondiale in Germania arrivò il nazismo e in Italia il fascismo, come dimostrato dalle analisi storiche, perché la guerra aveva lasciato problemi gravissimi, irrisolti da chi aveva il potere prima della guerra.
La mancata risoluzione dei problemi oggettivi da parte dei governi porta a spinte che poi diventano di tipo autoritario. Quando sarà finita l’emergenza sanitaria andremo incontro ad un’emergenza economica molto pesante. Mi auguro che allora chi governa sia capace di affrontare i problemi, altrimenti rischiamo dappertutto, in tutti i Paesi, spinte autoritarie ed antidemocratiche.

«Quello che sta succedendo in Europa dimostra che l’Europa non è mai nata. Una comunità c’è quando c’è solidarietà. Se non c’è solidarietà non c’è comunità. Hai voglia a chiamarla Comunità Europea: non c’è. Se non si dimostra capace di affrontare e risolvere i problemi può diventare un altro problema in grado di portare a un disfacimento della democrazia: anche questo si somma alle già tante problematiche che abbiamo davanti. Speriamo che la classe dirigente europea sia capace di comprendere questa difficoltà, questo momento particolare e che affronti con la dovuta ponderazione e razionalità i problemi che ci sono. Anche la cattiva politica e il cattivo funzionamento europeo possono contribuire a una deriva democratica».

LE COLPE DI GIORNALISTI ED INTELLETTUALI

Tra disinformazione ed informazione distorta, sull’onda della paura, è un attimo. In questo information overload, in questo sovraccarico cognitivo, abbiamo perso la bussola, e diventa sempre più difficile isolare le fake news.
Dobbiamo mettere in dubbio tutto? Ma soprattutto: come possiamo avere un giusto orientamento quando giornalisti, intellettuali, commentatori, dicono tutto e il contrario di tutto, a volte contraddicendo anche se stessi?

«Sembra un destino del nostro Paese seguire l’irrazionalità nei momenti più difficili.
Guicciardini scriveva secoli fa di ciò che succede oggi. Quando si faceva la guerra di indipendenza nazionale gli intellettuali italiani si domandavano se dovevano stare “o con la Francia o con la Spagna” invece di dire “facciamo noi l’indipendenza nazionale, così siamo noi indipendenti da ogni altro popolo”. Fa parte della nostra coscienza nazionale, che non mi so spiegare, ma che spesso traspare.

Antonio Baldassarre, Nino Foti
Antonio Baldassarre con Nino Foti

«Abbiamo purtroppo un ceto intellettuale che ha le sue responsabilità: si è sempre mosso in un modo fortemente politicizzato, a ridosso di questo o di quel partito, mentre – sarà una mia utopia – vedo il ruolo di un intellettuale come un qualcosa che sta per conto suo e cerca di dare giudizi autonomi sia nell’andamento delle vicende politiche sia nelle altre cose. Il ceto intellettuale dovrebbe essere la coscienza razionale di un Paese. Da noi purtroppo non è mai stato così.

«Fino a Croce, Gentile e qualche altro, in Italia gli intellettuali hanno contato un po’. Dopo non hanno contato più niente, perché si sono inquadrati in vari movimenti politici, perlopiù di sinistra, ma anche alcuni a destra. Questo ovviamente delegittima un intellettuale. Nel momento in cui lavori per un partito o pensi perché devi far comodo a un partito arriva un cortocircuito. Da te ci si aspetta la verità, ci si aspetta che tu dica qualcosa che corrisponde alla realtà, non qualcosa che va nel senso e nella direzione di un partito.

«Non è un caso che, salve rarissime eccezioni, questi intellettuali sono i più presenti nei giornali, che tutti sappiamo bene essere tutti schierati politicamente, o da una parte o dall’altra. Che so: Repubblica è quello che era una volta l’Unità, Libero o il Giornale dall’altra parte. Anche questo è un problema. È difficile trovare un organo di informazione che rappresenti una voce veramente indipendente.

«Faccio un esempio straniero: il Frankfurter Allgemeine Zeitung, che sicuramente è conservatore come tendenza, non si identifica con i partiti conservatori in Germania, tanto è vero che sulla vicenda dell’Europa, ad esempio, ha tenuto posizioni polemiche con la Cdu, il partito democratico conservatore della Germania. Questo non succede da noi: è un problema, è lo specchio di quello che è il ceto intellettuale in Italia.

«Ricordo benissimo il famoso dibattito tra Bobbio e Togliatti. Oggi non c’è un intellettuale come Bobbio, che si alzi e dica al capo “stai sbagliando”. Questo è il problema dei nostri tempi. Le fake news si combattono facendo buon giornalismo. Ma dove è il buon giornalismo? È tutta manipolazione».

Paola Bottero
Paola Bottero
Piemontese di origini, calabrese d’adozione, romana per scelta, ama la legge, l'informazione e la comunicazione. Giornalista d’inchiesta per le principali testate nazionali, portavoce di diversi ministri, capo ufficio stampa di gruppi parlamentari e di diverse cariche istituzionali, autore di innumerevoli format, conduttrice radiofonica e televisiva, narratrice e sceneggiatrice, docente di comunicazione e informazione, crede nella forza delle parole che creano contaminazioni di valori e di percorsi, quando accompagnano fatti reali.

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