Una ricerca ci mostra che ormai è difficile comprendere quale sia una notizia vera e una falsa: ma la verità purtroppo spesso non serve a far cambiare idea alla gente, Vannacci (con la sua ultima uscita sui gay) docet
Nel difficile rapporto con l’informazione otto italiani su dieci non riescono a distinguere le bufale, oggi fake-news, dalla verità. Il dato, contenuto in una rilevazione condotta da AstraRicerche – Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos – non ha stupito più di tanto, anzi non ha fatto proprio notizia. In qualche modo è scontato che in Italia, come nel mondo, l’opinione pubblica abbia subito un mutamento radicale: la gente non si fida più dei professionisti, degli esperti, dei professori, degli scienziati e, come conseguenza, attinge le informazioni dove capita, sul web o sui social. Tendiamo ad ascoltare chi la spara più grossa o è (apparentemente) più convincente.
Bufale e verità: la disintermediazione
Disintermediazione, parola chiave della ricerca, si può riassumere come quel fenomeno per cui il lattaio sotto casa spiega ad Einstein perché la teoria della Relatività generale è una cazzata, tant’è vero che anche l’allenatore dei pulcini dell’oratorio la pensa come lui e lo ha scritto su Facebook e nel gruppo Whatsapp dei genitori.
Bufale, verità e post-verità
Ma basta ristabilire la verità dei fatti a far vincere la corretta informazione? No, purtroppo. E questo non lo dice il sondaggio, lo dice il mondo per come va, da Trump in avanti (per onestà intellettuale, anche prima). La gente – come scrivono gli analisti – non cerca la verità ma la post-verità, cioè quelle notizie che confermano l’opinione che uno si è già fatto.
Uno pensa che gli immigrati portino via il lavoro agli italiani? Qualunque bufala propinata in questa direzione trova ampio consenso tra chi ce l’ha con gli immigrati: ogni verità contraria (ma qualcuno pensa davvero che dopo la laurea gli italiani vogliano raccogliere pomodori o fare da badante?), anche se dimostrata con i fatti e le statistiche, viene bollata come bugia dei soliti giornalisti radical chic. La cultura (studiate, studiate, studiate, ci dicevano una volta) è un disvalore, anzi, un elemento classista. L’ignoranza è un punto di vista con cui fare i conti e, in molti casi, può portare nei posti chiave dello Stato.
Bufale, verità e vannacciate
L’ultima boutade del generale Vannacci sui gay che non sarebbero in grado di contribuire a difendere la patria sul campo di battaglia, in caso di attacco, sarebbe da ignorare se non provenisse dal numero due della Lega, partito al governo. Eppure anche una simile sciocchezza va a pescare in un mondo di frustrazione sociale in cerca di nemici, che porta tantissimi voti e consenso a chi la pronuncia. La parte teoricamente più lucida del Paese non comprende che una qualsiasi lotta alle fake news condotta cercando di dimostrare quale sia la verità è solo una battaglia contro i mulini a vento: ciascuno crede in ciò di cui è già convinto, cerca solo conferme, rifiuta le smentite. Bisognerebbe agire in profondità, nelle convinzioni radicate laddove covano rancore e risentimento.
Ma approfondiamo punto per punto.
Il sondaggio: otto su dieci non riconoscono le bufale dalla verità
Gli italiani si informano su social media e motori di ricerca anche se in realtà hanno più fiducia nei giornali e nei telegiornali. E pur considerando importante l’informazione (il 68,4%), la maggioranza degli abitanti del Belpaese dedica meno di mezz’ora al giorno (63,5%) a scoprire cosa succede in Italia e nel mondo, anche se 8 su 10 hanno difficoltà a capire se una notizia è vera o falsa. Questo è il quadro che emerge dalla ricerca “Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos” condotta a maggio 2025 da AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione italiana (1.023 interviste, metodo cawi, su un campione 18-70enni residenti in Italia) e promossa da INC.
“Sono gli italiani al tempo della disintermediazione l’informazione senza filtri professionali, che arriva loro incontro da mille fonti, affidabili e non, e li disorienta”, si legge in una nota d’agenzia. “Spingendoli – è il primo paradosso fra i tanti riscontrati dalla ricerca – a un consumo dettato più dalla convenienza e dall’abitudine che da una scelta di fiducia. Gli italiani attingono da fonti che essi stessi, in larga misura, non reputano attendibili, evidenziando una vulnerabilità strutturale nel modo in cui la società accede alla conoscenza”. Gli italiani “chiedono più regole, anche per chi fa informazione senza essere un giornalista, e temono l’intelligenza artificiale, che non sembra portare nulla di buono in termini di affidabilità e imparzialità”.
Vannacci, i gay e l’accorata replica di Pagliaro
Il giornalista Paolo Pagliaro, noto ai più per la rubrica “Il Punto” nella trasmissione di Lilli Gruber “Otto e mezzo”, ha dedicato al generale Vannacci uno scritto di grande valore civile e giornalistico:
“Quando il generale ed eurodeputato Vannacci chiede retoricamente “chi va a combattere in guerra? Quelli del Gay Pride?”, la risposta è semplice: sì, anche loro. Da sempre. Gli omosessuali hanno combattuto e sono morti per la patria in ogni conflitto della storia italiana ed europea. È storia antica, generale. Nell’antica Grecia, il Battaglione Sacro di Tebe era composto da 150 coppie di amanti maschi e rappresentava una delle unità militari più temibili del mondo di allora. La loro efficacia in battaglia era leggendaria proprio perché combattevano l’uno per l’altro.
“Durante la Prima Guerra Mondiale, migliaia di omosessuali tedeschi, francesi, inglesi e italiani si arruolarono volontariamente, considerando il servizio militare un’opportunità per dimostrare il loro patriottismo e la loro appartenenza alla nazione. Tra i monumenti ai caduti italiani, nei sacrari militari di Redipuglia, Asiago e Monte Grappa, riposano anche soldati omosessuali che hanno dato la vita per l’Italia. I loro nomi sono incisi nella pietra accanto a quelli dei loro compagni eterosessuali, perché di fronte alla morte e al sacrificio per la patria, l’orientamento sessuale diventa irrilevante”.
Vannacci, i gay: Pagliaro ricorda i martiri omosessuali contro il nazifascismo
Prosegue Pagliaro:
“La medaglia d’oro al valor militare non chiede l’orientamento sessuale di chi la riceve. E lei, generale, dovrebbe saperlo.
“Durante la Resistenza, partigiani omosessuali hanno combattuto contro il nazifascismo rischiando doppiamente: come resistenti e come appartenenti a una minoranza perseguitata dal regime. Alcuni di loro sono stati deportati nei campi di concentramento con il triangolo rosa, simbolo dell’infamia nazista che oggi è diventato simbolo di orgoglio e memoria.
“La sua provocazione, generale, rivela una profonda ignoranza storica e un disprezzo inaccettabile verso cittadini italiani che hanno sempre risposto presente quando la patria chiamava. Gli omosessuali non solo vanno in guerra, ma ci sono sempre andati, con coraggio e onore, meritando rispetto e non scherni da chi dovrebbe rappresentare i valori costituzionali di uguaglianza e dignità di tutti i cittadini.”
Ma la verità oggi serve a qualcosa contro le fake news? No
Parole che sottoscrivo integralmente, ma servono a qualcosa? Nel mondo in cui viviamo la maggioranza è pronta a recepirle, a difenderle, a farle vivere nel quotidiano? La parte democratica ed avanzata del Paese è in grado di parlare e confrontarsi con chi si affida ai Vannacci per convincerli che una società basata sull’odio e sul disprezzo non va da nessuna parte? La risposta è no, almeno per ora. Le bufale sui gay incapaci per scelta sessuale di difendere la patria, come mille altre fake news, sono condivise in profondità da una parte ampia dell’opinione pubblica, figlie di pregiudizi di ieri e alimentate da frustrazioni dell’oggi.
I Vannacci sparano sul mucchio sicuri di colpire. La controparte non esiste. La sinistra si limita a bollare come fascisti tutti quanti per levarsi il peso dalla coscienza, ma non entra nel merito dei pericoli attuali per la democrazia, che sono diversi e ben peggiori del fascismo: basti pensare alla plutocrazia che detiene i mezzi tecnologici e controlla miliardi di persone con una app. Per molti è più semplice abbaiare che tentare di curare in profondità la malattia che sta incancrenendo la società. Le bufale, in fondo, sono più comode della verità.
L’ignavia e lo spirito del tempo
Oggi l’ignavia avvolge anche la parte che si reputa più sana, più lontana da violenza, razzismo e rancore, ma che è restia ad abbandonare comode rendite di posizione, come ha scritto in un bell’editoriale sulla Stampa Andrea Malaguti:
“Lo Spirito del Tempo è nuovamente questo. Tra un brutto compromesso o un bellissimo dispiegamento di buoni principi scegliamo il compromesso. Diamo per scontati i morti e la prevaricazione. La sparizione di un singolo ci strappa al massimo un sospiro. Viviamo come tartarughe rintuzzate nel nostro carapace e continuiamo a chiamarla vita. Arretriamo, ci chiudiamo, soffochiamo un po’. Nella speranza che il pugno di ferro di chi ha più vigore non finisca sulle nostre teste”.
La paura vera è che in fondo abbia ragione chi dice che è meglio tenersi la Meloni perché dopo di lei non c’è uno spazio progressista, c’è Vannacci.