mercoledì, 30 Aprile 2025

Violenze sessuali e Islam: le donne rialzano la testa

Anche in Egitto comincia a soffiare il vento della ribellione delle donne che per secoli hanno subito in silenzio in virtù di un malinteso “lasciapassare” dato dalla religione agli uomini

Talvolta la cronaca riserva delle sorprese, dei paradossi, perché magari, per una semplice omonimia, accosta due persone accomunate solo dall’età, dalla nazionalità e dallo stesso cognome, Zaki, ma che mai potrebbero essere più distanti, soprattutto dal punto di vista della morale. Accade oggi in Egitto.
Uno si chiama Patrick, studia all’Università di Bologna e da settimane si trova in un carcere cairota, per accuse che ancora non sono chiare e che si legherebbero al concetto, sempre molto vago, della sicurezza dello Stato. 
L’altro si chiama Ahmed Bassam ed è anche lui in arresto, accusato di avere abusato sessualmente di alcune sue coetanee e forse non solo in Egitto.
Di Patrick Zaki tanto si è scritto, in queste settimane, e forse si dovrebbe scrivere di più, perché in gioco non c’è la libertà di un ragazzo, ma ”la Libertà”, tout court.

Un arresto che fino a qualche tempo fa sarebbe passato inosservato

Ma di Ahmed Bassam Zaki si è parlato poco perché le accuse che gli sono state mosse riguardano, nelle società islamiche, più di chi se ne rende responsabile, un modo di pensare radicato,  che ritiene che le donne debbano restare sempre un gradino sotto o, se più vi aggrada, un passo indietro, tanto la sostanza non cambia.
Fino a poco tempo fa, il nome di Ahmed Bassam Zaki (ventunenne, definito ”colto e di buona famiglia”, come se uno stupratore si potesse giudicare dalla sua estrazione sociale o dall’ambito familiare che lo ha espresso) sarebbe stato presto dimenticato. 
Perché è stato arrestato per avere usato violenza a due ragazze (e forse anche ad una terza), una cosa considerata alla stregua di una ragazzata laddove il machismo è la regola.  
Ed invece anche in Egitto sta cominciando a soffiare il vento della ribellione delle donne, di quelle che, per secoli ed in virtù di un malinteso ‘lasciapassare’ dato dalla religione agli uomini, hanno subito in silenzio, quasi sempre avversate dalla loro stessa famiglia che ha colpevolizzato loro, le vittime, accusandole di avere gettato discredito su di essa nel momento in cui hanno avuto il coraggio di denunciare la violenza subita.

”il pensiero patriarcale radicato nel potere, e non nella giustizia, è il peggiore nemico dell’islam”

Ma incorrerebbe in errore chi pensasse che chi vessa una donna, chi abusa di essa, chi non le rende merito per quello che è e per quello che fa, abbia una giustificazione nel Corano che, ancora una volta di più, è stato sovente usato a sproposito, magari da chi lo conosce superficialmente o, peggio, attraverso manipolazioni di pseudo-religiose.
Azizah al-Hibri è, oltre ad esercitare la professione forense, docente emerita di filosofia alla T. C. William School of Law – University of Richmond, con un curriculum accademico di primissimo livello. 
Intervenendo al seminario sul tema ”Women, Faith and Culture”, alla Farnesina, ha tra l’altro ricordato che c’è “una norma islamica che afferma che la legge cambia in base al tempo, al luogo e alle esigenze della gente, deve insomma adattarsi alle nuove culture, ma questa regola non si basa sui principi coranici”. Il problema è che ”oggi molti musulmani fanno fatica a distinguere tra principi coranici e pratiche sociali, pensano che anche queste ultime siano ispirate alla religione, perciò sacrosante”. E quindi:  ”La cultura patriarcale colpisce spesso l’esegesi religiosa in materia di condizione della donna”, ma  ”il pensiero patriarcale radicato nel potere, e non nella giustizia, è il peggiore nemico dell’Islam”.
Quindi, spesso il Corano o gli altri testi sacri sono usati a sproposito, quando non strumentalmente per evitare che gli uomini che aggrediscono o violentano paghino veramente le conseguenze del loro agire.

un cambiamento ancora allo stato embrionale

Ma l’Egitto sembra avere deciso di voltare pagina, anche se questo cambiamento è ancora allo stato embrionale. 
Perché questo si determini, però, occorre una fortissima azione riformatrice, che frantumi il muro delle consuetudini.  
Un cammino certamente difficile perché appena nel 2014 è stato deciso che la pena per un violentatore è di sei mesi. 
Sì, letto bene, sei mesi appena. Certo non un deterrente, anzi, viene da pensare, quasi un incentivo a delinquere, pur nella consapevolezza che le carceri egiziane non sono hotel a 5 stelle. 
Ora forse questa quantificazione della pena per il delitto di violenza sessuale sarà modificata, cioè con condanne con minimi edittali ben più alti. Ma il fatto stesso che, nel 2014,  non nell’800, si è pensato che per un violentatore sei mesi di carcere fossero una pena equa la dice lunga sulla mentalità del Paese.

timidi segnali di svolta anche dal potere religioso

Forse un refolo di speranza arriva dal fatto che di questo modo distorto di considerare la donna (perché è di questo che si tratta) s’è reso conto anche il potere religioso – che è ancora fortissimo nei Paesi islamici – che ha cominciato a muoversi. Come ha fatto al Azar, massima istituzione religiosa mondiale sunnita, che ha invitato le donne, non solo egiziane, a denunciare le violenze di cui sono fatte oggetto.

nel 2013 il 99,3% delle donne egiziane sosteneva di essere stata oggetto di molestie sessuali

Partendo dal presupposto che non sempre sondaggi ed indagini demoscopiche fotografano l’effettiva realtà dei fatti, c’è da restare basiti leggendo che un rapporto delle Nazioni Unite datato 2013 sosteneva che il 99,3 per cento delle donne egiziane sosteneva d’essere stata oggetto di molestie sessuali. 
Una percentuale enorme, ma che ci può stare perché molestia sessuale è anche un modo ”aggressivo” di corteggiare una donna, con frasi dal contenuto a dir poco esplicito. 
Ma pensare che più di 99 dove in un campione virtuale di 100 ritiene d’essere stata molestata o lo è stata veramente non è un problema statistico o sociologico, è un atto d’accusa nei confronti di una intera società che non riesce ad affrancarsi dallo stereotipo secondo il quale l’uomo comanda, dispone, impone e alla donna non rimane che obbedire. Ma non è comunque un problema solo della società egiziana, perché la malintesa subordinazione della donna all’uomo è prassi costante in molti Paesi che hanno alla base del loro essere nazione l’Islam. 
Azizah al-Hibri sostiene, in proposito, che molte parole del Corano ”non hanno il significato affidato loro dai giuristi. La cultura patriarcale spesso colpisce l’esegesi religiosa in materia di condizione della donna”. E quindi ”il pensiero patriarcale radicato nel potere, e non nel Corano, è il peggiore nemico dell’Islam”. 

le tre ragazze che hanno denunciato hanno iniziato a tracciare un percorso

Quanto sta accadendo in Egitto (sempre che alla fine tutto abbia un esito giudiziario, quale che sia, visto che spesso le inchieste vanno ad incagliarsi nelle secche delle omissioni più bieche) è comunque indicativo che qualcosa sta cambiando, almeno nella percezione che le donne dei Paesi a maggioranza islamica hanno dei loro diritti. Che sono riconosciuti dalla legge, ma troppo spesso scavalcati da una morale comune che cozza con il diritto e che poggia su interpretazioni di comodo dei sacri testi. 
La violenza è un male che non si può estirpare, perché è parte dell’animo umano, senza distinzione di genere. 
Ma se è a senso unico e se, quando colpisce le donne, viene fatta rientrare in uno spettro di ineluttabilità, allora è forse arrivato il momento di ribellarsi. 
Le tre ragazze che hanno avuto il coraggio di denunciare Ahmed Bassam Zaki sono una goccia nel mare dell’acquiescenza alle violenze sessuali, ma forse hanno cominciato a tracciare un percorso. E se è vero che altre adolescenti ora ammettono d’essere state violentate – adescate in maggioranza in rete da Zaki, che avrebbe agito indisturbato per cinque anni – da questo ”bravo ragazzo” e di avere tenuto tutto per loro per vergogna forse per le donne egiziane sta nascendo una nuova alba.  

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